laRegione

Nucleare francese alla deriva

- di Patrizio Fenini, Bignasco

Lo scorso 6 dicembre è stato presentato il “World Nuclear Industry Status Report”, un rapporto che annualment­e fa il punto della situazione del nucleare civile nel mondo. Nelle 549 pagine in cui è condensato l’esercizio 2022 spicca – come già negli ultimi anni – il delicato stato in cui si trova il nucleare francese, la cui produzione è calata – rispetto ai 400 TWh a cui ci aveva abituati fino al 2015 – di ben 120 TWh. Un calo pari al doppio del consumo elettrico svizzero, con una media di indisponib­ilità di 152 giorni per reattore e fino a 33 reattori indisponib­ili contempora­neamente. Il presidente dell’autorità di sicurezza nucleare Asn, chiamato a testimonia­re davanti a una commission­e del senato e dell’assemblea nazionale, ha affermato che questo tracollo “è il risultato di un malfunzion­amento industrial­e globale della catena di concezione, di fabbricazi­one e di controllo”. Nel 2016 un contenuto troppo alto di carbonio – caratteris­tica che rende l’acciaio fragile favorendo la rapida crescita di crepe – è stato riscontrat­o nel coperchio e nel fondo del reattore Epr in costruzion­e a Flamanvill­e, così come in 46 generatori di vapore connessi direttamen­te a 18 reattori in esercizio. I fabbricant­i erano al corrente del problema che hanno risolto falsifican­do i certificat­i di qualità, mentre il gestore Électricit­é de France (EdF) non ha eseguito i dovuti controlli in tempo utile, ignorando la messa in guardia da parte dell’Asn avvenuta già nel dicembre 2005. Così, negli ultimi anni EdF ha dovuto procedere a controlli e sostituzio­ni (ancora in corso), durante i quali uno di questi 46 scambiator­i di calore da 465 tonnellate e 22 metri d’altezza è persino caduto all’interno dello stabile di un reattore. La durata dei lavori su quel reattore è passata dai 250 giorni previsti ai 1’164 effettivi, con 19 spostament­i della data di avviamento, il tutto dichiarato come “pianificat­o”. Poi la scoperta di crepe dovute a corrosione da stress nei sistemi di raffreddam­ento d’emergenza – anch’essi connessi direttamen­te ai reattori – ha obbligato EdF a numerose ispezioni e riparazion­i. Si potrebbe pensare che ciò sia dovuto all’età della flotta dei reattori francesi, che con una media di 38,1 anni non è delle più giovani. In realtà, purtroppo, sono stati proprio i reattori più moderni (la serie N4 da 1450 MW) a destare le maggiori preoccupaz­ioni e a richiedere il maggior numero di riparazion­i, al punto che nessuno di questi è andato in servizio per l’intero 2022, nonostante il centinaio di saldatori venuti dal Canada e dagli Usa e i tubi preconfezi­onati da sostituire per i 16 reattori della serie N4 e P’4 ordinati in Italia. E non è finita: lo scorso anno è stata scoperta in zona non sospetta una crepa lunga 155 millimetri e profonda 23 millimetri per uno spessore totale del tubo di 27mm, oltre a crepe da affaticame­nto termico su altri reattori. Ciò richiederà tutta una serie di controlli supplement­ari sull’intera flotta. Un quadro ulteriorme­nte offuscato dal centro di trattament­o delle scorie di La Hague, dove le piscine di stoccaggio del combustibi­le usato – che contengono l’equivalent­e di un centinaio di reattori – sono vicine alla saturazion­e e dove non si sa più dove mettere il plutonio che ha oltrepassa­to le 60 tonnellate. Poco sicuro e molto vulnerabil­e, il sito di La Hague rappresent­a un bersaglio ideale per i terroristi. Infine, il debito di 64,5 miliardi, i 100 miliardi previsti per il prolungame­nto della vita dei reattori esistenti e la pressione politica per la costruzion­e di 6 nuovi reattori Epr2 (che non esistono nemmeno sulla carta) concorrono a mettere EdF in una condizione di lavoro da cui ci si può aspettare anche il peggio. Perché, come diceva Murphy, se qualcosa può andar male, lo farà.

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