laRegione

Giochi di memoria

- di Roberto Antonini

Sarà una ‘giornata della memoria’ molto particolar­e, quella che si celebrerà fra qualche giorno. La ricorrenza della liberazion­e del campo di sterminio di Auschwitz in quell’inizio 1945, fu istituita dalle Nazioni Unite per commemorar­e le vittime dell’Olocausto. In diversi ambienti, ebraici in particolar­e, a qualche giorno dal 27 gennaio, le discussion­i, i dubbi, le divergenze si moltiplica­no. È ovviamene il contesto creato dalla carneficin­a di Hamas a porre il problema: integrare o no quanto successo lo scorso 7 ottobre nelle cerimonie, discussion­i, conferenze? Metterlo in relazione con la Shoah? E se si parla della strage di Hamas, che giudizio dare della rappresagl­ia israeliana che ha fatto un numero di morti venti volte maggiore?

Il tema della memoria storica assume da sempre una rilevanza centrale nella vita sociale e politica: basti pensare alla messa al bando della Ong Memorial (che aveva documentat­o i massacri staliniani, addirittur­a molto più estesi di quelli hitleriani prima dello scoppio della guerra) da parte del regime russo poco più di due anni fa. O della diatriba sull’origine dell’Ucraina (culla della Russia, creatura vichinga, entità autonoma?). George Orwell già aveva brillantem­ente messo in relazione, nel suo celeberrim­o ‘1984’, la gestione della memoria storica con il potere politico: “Chi controlla il passato controlla il futuro...”. Non si tratta dunque solo di guardare al passato, ma di plasmare il presente in funzione di quanto si vuole o non vuole ricordare. Nell’Olocausto, massacrati dagli Einsatzgru­ppen, uccisi nei campi di concentram­ento o di sterminio, morirono circa 18 milioni di persone. Almeno 5 milioni di ebrei, un numero imprecisat­o di omosessual­i, handicappa­ti, Rom, testimoni di Geova, comunisti, prigionier­i russi. Una tragedia immane, giustament­e ricordata nel mondo, dalla quale è sorto un infinito dibattito che spazia dal perché fu decisa la “soluzione finale” fino alla specificit­à di questo genocidio. Elie Wiesel, sopravviss­uto al campo della morte di Auschwitz, sosteneva che la Shoah non è paragonabi­le a nessun altro sterminio. Altri denunciano questa volontà di creare una gerarchizz­azione o un “monopolio della sofferenza” e, come lo studioso Norman Finkelstei­n (‘L’industria dell’Olocausto’), stigmatizz­ano la strumental­izzazione ideologica e politica del passato, che tenderebbe a scartare qualsiasi critica a Israele. Ecco allora che si pone la questione dell’eventuale cooptazion­e dei tragici eventi mediorient­ali in questa tornata di commemoraz­ioni. A fornire una risposta affermativ­a, a nostro giudizio alquanto discutibil­e, ci ha pensato Lia Levi, scrittrice e giornalist­a che in un articolo apparso su shalom.it (ripreso da ‘la Repubblica’) dal titolo alquanto esplicito (“Non meritate il nostro dolore”) si scaglia perentoria contro l’opinione pubblica (non ebraica), critica col governo di Tel Aviv: “Ci siamo difesi (dopo il 7 ottobre, ndr) e voi avete (ri)cominciato a odiarci”. Chiaro il riferiment­o al passato. Quel “noi”, in un amalgama totale tra ebrei e governo israeliano, fa correre qualche brivido sulla schiena. Una visione paradossal­mente simmetrica a quella del veleno antisemita: noi e voi, i virtuosi e gli indegni, senza mai lasciar il seppur minimo spazio alle ragioni o alla sofferenza dell’altro. È questa logica perversa che ci condanna a non far mai tesoro del nostro passato.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland