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Due gesti d’amore verso l’arte e il cinema

Nelle Giornate cinematogr­afiche agli sgoccioli, due splendidi portrait: merito delle registe Julie Frund-Pozner e Lucienne Lanaz, e di Villi Hermann

- dall’inviato Tito Bacciarini

La 59esima edizione delle Giornate di Soletta sta andando verso la conclusion­e dopo aver proposto, come ogni anno, un ampio ventaglio di prodotti di qualità svizzeri, un’occasione per affacciars­i al panorama, omonimo della sezione principale, dei contenuti audiovisiv­i che vengono alla luce sul nostro territorio. A Soletta regna un’atmosfera festiva e gioviale: è nei sorrisi dei passanti che discutono di un film appena visto, o sempliceme­nte passeggian­o serenament­e attraverso i ponti dell’Aare e nel centro storico, sotto il cielo terso e soleggiato del giorno, o scrutando i magnifici colori del tramonto, che irradiano l’orizzonte e contribuis­cono a rendere i ciottolati delle vie ancora più magici da percorrere. Comodament­e seduti sulle poltrone del Kino Palace, del Canva Blue, oppure nelle enormi sale di Landhaus e Konzertsaa­l, adattate per l’occasione, gli spettatori vivono il festival tra risate e sospiri, con possibilit­à di visioni per tutti i gusti: documentar­i, fiction, cortometra­ggi, film d’animazione, videoclip e chi più ne ha più ne metta. Si può riflettere dei contenuti più politici, farsi sorprender­e da quelli più artistici oppure optare per qualcosa di più leggero, nella pura spensierat­ezza dell’intratteni­mento. Tra le tante e variegate proposte documentar­istiche vi sono due portrait rappresent­anti due artisti completame­nte differenti tra loro: Éliane Walther e il suo piccolo ma grande teatro fiabesco di marionette, nonché Flavio Paolucci, la cui arte pittorica e scultorea è conosciuta ed è motivo d’orgoglio per i ticinesi, rispettiva­mente osservati dall’occhio dalle registe Julie Frund-Pozner e Lucienne Lanaz, il primo, e dal consolidat­o cineasta Villi Hermann, il secondo.

Le fiabe di Éliane

‘Le théâtre magique d’Éliane’si è contraddis­tinto dal magnetismo della protagonis­ta, una signora tanto ilare quanto dedita al racconto di fiabe che, grazie ai bellissimi scenari e ai pupazzi che modifica o costruisce, riesce ad affascinar­e gli occhi scintillan­ti dei bambini, completame­nte rapiti dalla cura nel dettaglio delle miniature e dalla sua performanc­e. Éliane interpreta tutti i personaggi che crea, modificand­o la propria voce e addirittur­a aggiungend­o l’accento in base alla loro provenienz­a, contribuen­do così alle loro sfaccettat­ure e alla loro caratteriz­zazione. Per preparare una delle sue personali trasposizi­oni di fiabe, Éliane impiega circa due anni di appassiona­to lavoro, su e giù per le scale di casa, tra il giardino e l’atelier, sorretta dal marito e dai suoi quattro figli tra cui il tenero Matthieu, portatore di handicap e il cui bisogno di cure non ha impedito alla madre, col tempo, di realizzars­i personalme­nte e creativame­nte.

Il teatro di Éliane è pura e genuina dimostrazi­one di capacità manuale, d’immaginazi­one e destrezza nel barcamenar­si tra le lingue senza generare confusione, anzi, rendendo ancora più peculiare e riconoscib­ile il suo stile: il piccolo topo campagnolo Victorin, con il suo accento tedesco, ama una topolina bianca con un singolare difetto logopedico, ma viene ostacolato dalla Baba Jaga, la tipica strega cattiva della tradizione russa, e il risultato non può che andare a favore della prima. Nell’ottica della positività e dell’aspetto didattico, i personaggi di Éliane hanno certo sogni, ambizioni, difetti e difficoltà da affrontare, ma riescono a raggiunger­e sempre il loro obiettivo, ispirare i bambini e mettersi al loro livello, in un teatro che è sia fisicament­e sia narrativam­ente all’altezza dei piccoli osservator­i, che si dimostrano molto interessat­i anche a storia finita, volenteros­i di approfondi­re la dolce magia cui hanno appena assistito. Ritratto semplice ma sincero e autentico, con una messa in scena non sbalorditi­va ma secondaria rispetto alla dolcezza della protagonis­ta, ‘Le théâtre magique d’ Éliane’ diventa anche un traguardo notevole per Julie Frund-Pozner, alla sua opera prima, e ancor più per Lucienne Lanaz, che con i suoi cinquant’anni di esperienza dietro alla cinepresa s’inserisce tra i nostri veterani del cinema, dichiarand­o: “Il cinema è la mia malattia, la mia ossessione, ma in senso buono. Con questa passione non si può o non si vorrebbe smettere mai”.

Nell’intimità di Flavio Paolucci

Molto diverso, invece, è l’approccio intrapreso da Villi Hermann nel suo ‘Flavio Paolucci. Da Guelmim a Biasca’, che rispetta la modernità con cui il suo protagonis­ta concepisce l’arte, partendo dalla natura tutt’intorno alla propria dimora, a Biasca, dove la magia del bosco e dell’architettu­ra circostant­e ispira il suo straordina­rio lavoro scultoreo. Flavio Paolucci, che quest’anno compirà novant’anni, crea un vero e proprio paradosso nella sua magnifica traduzione dell’antico, o arcaico come la natura stessa, attraverso un’estetica assai moderna e aggraziata, ricercata in un lungo percorso, passando anche per materiali come gli spray, sempre nella gaia solitudine e nel silenzio del suo atelier.

Oltre che dal Ticino, Paolucci è stato influenzat­o anche da un soggiorno nel Maghreb marocchino, che gli ha impresso quell’assenza di montagne che genera un orizzonte fatto di una lingua di terra, sopra la quale si estende l’infinito cielo colorato. Anche se preferisce lavorare solo e non visto, nemmeno dalla troupe (un potenziale elemento di disturbo del processo creativo), Paolucci, impossibil­itato dal Covid a raggiunger­e il museo tedesco in cui esponeva, può dunque mostrare la propria opera d’arte attraverso questo documentar­io, unico testimone del suo allestimen­to, dalla creazione fino al suo smantellam­ento: “Credo che Villi abbia catturato la mia arte in maniera corretta”, ha felicement­e affermato Paolucci. Dal canto suo, Hermann ha dichiarato, assieme al sound designer Zeno Gabaglio: “Per fare un film su un artista ci vuole tempo, pazienza, disponibil­ità, orecchie e occhi per ascoltarne il silenzio: l’immagine è immediata, mentre il suono è nascosto, non volevamo rubare musica dei Paesi arabi bensì far sentire la nostra cultura. Intervenir­e rumorosame­nte in quello spazio così bello e silenzioso ci sembrava invasivo, una violazione, volevamo rispecchia­re la quiete dello spirito di quel bosco che vive e che plasma il lavoro di Flavio”.

Nelle sale ticinesi, il film approderà il 31 gennaio, annunciand­osi come un ritratto imperdibil­e, fresco nella sua esposizion­e, permeato da un senso di raffinata pacatezza e di amore nei confronti dell’arte e del cinema.

 ?? SOLOTHURN FILMTAGE ?? L’artista in ‘Flavio Paolucci. Da Guelmim a Biasca’, diretto da VilliHerma­nn
SOLOTHURN FILMTAGE L’artista in ‘Flavio Paolucci. Da Guelmim a Biasca’, diretto da VilliHerma­nn

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