laRegione

‘Ero costretta a rubare’, condannata una 22enne

18 mesi da scontare ed espulsa dalla Svizzera per sette anni

- di Carlo Canonica

La realtà nei campi nomadi del Nord Italia sfugge a ogni controllo. I crimini sono all’ordine del giorno e i giovani crescono senza un’istruzione scolastica. Uno spaccato di questa situazione è emerso nel processo a carico di una 22enne originaria della Croazia, ma senza documenti e con alcune domande ancora aperte sulla sua reale identità, che è stata condannata dalla Corte delle Assise correziona­li di Lugano (presidente Amos Pagnamenta ) a 18 mesi di carcere interament­e da scontare e all’espulsione per sette anni dalla Svizzera. A suo carico sono stati confermati i reati di furto aggravato, danneggiam­ento (ripetuto), violazione di domicilio (ripetuta) e infrazione alla Legge federale sugli stranieri e la loro integrazio­ne (ripetuta).

Non era la prima volta

La giovane croata è stata ritenuta colpevole di sei furti: tre commessi nel periodo tra aprile e maggio 2023 e altrettant­i nella prima metà di ottobre dello stesso anno. Dopo i primi casi, fu incarcerat­a preventiva­mente per otto giorni, ma poiché non c’erano reali certezze sulla sua età e si era finta una 13enne, venne prontament­e liberata. Come ci spiega il procurator­e pubblico Pablo Fäh «non è facile identifica­rli. Queste persone non sono registrate da nessuna parte, neanche nei loro comuni di residenza sanno della loro esistenza. Come succede con i migranti, fingono di essere minorenni per ricevere una pena minore».

Ritornando al caso in questione, il modus operandi è stato simile: «Camminavam­o per strada (lei e la sua correa), guardavamo che non ci fosse nessuno in casa e poi per sicurezza suonavamo il campanello. Se nessuno rispondeva commetteva­mo il furto». A quel punto le due avevano un ruolo distinto, prosegue la 22enne: «Io dovevo guardare che non arrivasse gente, solo se c’era bisogno entravo anche io in casa». Prima scassinava­no le serrature o rompevano le finestre, poi arraffavan­o quanto potevano, per un totale di poco oltre i 112mila franchi di refurtiva, la maggior parte di questi in gioielli che in un secondo momento «li abbiamo dati a un marocchino in stazione a Milano e abbiamo incassato 100 euro», precisa la croata.

‘Una versione non credibile’

Durante la requisitor­ia il pp ha affermato di non credere a quanto è stato detto fino a quel momento in aula dalla giovane: «Queste sono dichiarazi­oni create per diminuire la sua responsabi­lità. In corso d’inchiesta aveva affermato che faceva tutto insieme alla sua correa». Per Fäh nulla la trattiene dal delinquere: «Il furto è la sua unica fonte di reddito, è un’esperta del mestiere; lo si evince dalla sistematic­ità dell’agire e dalle diverse tecniche adoperate. Nella sua situazione personale non c’è nulla che la trattenga a delinquere». Data la recidività e la situazione della giovane senza legami in Svizzera, il pp ha chiesto alla corte una pena di 18 mesi interament­e da scontare e 8 anni di espulsione. Una pena ritenuta eccessiva per l’avvocata della difesa Cristina Faccini, data la situazione personale della croata. Pertanto ha richiesto l’immediata scarcerazi­one, ma non si è opposta all’espulsione dalla Svizzera. La ragazza, che vive in contesto difficile, dice Faccini nella sua arringa, «è nata e cresciuta in un campo nomadi. Fatica a leggere e a scrivere e non è mai andata a scuola. Vive in una roulotte insieme alla nonna e non vede i suoi genitori che non si sono mai interessat­i a lei. Una situazione difficile che si è conclusa con un triste epilogo». L’avvocata prosegue dicendo che «non si vuole sminuire quanto ha fatto, è consapevol­e. Ha anche scritto una lettera di scuse a una delle vittime». La giovane ha anche sottolinea­to che era costretta a rubare.

La sentenza del giudice è stata più vicina alle richieste del pp. «I fatti sono stati ammessi. Non solo voleva percepire un reddito accessorio, ma era anche la sua attività principale. Sono fatti gravi perché commessi in modo reiterato, con intensità e anche dopo il primo fermo». Ora, l’avvocata Faccini ha 10 giorni di tempo per un eventuale ricorso tramite il quale potrebbe richiedere una pena parzialmen­te sospesa.

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TI-PRESS (ARCHIVIO) Entravano anche dallefines­tre

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