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Vi scrivo dai Fiordi Occidental­i Islandesi

In viaggio verso l’estremo Nord a caccia di suoni, in un posto in cui staccare la spina dal resto del mondo, là dove il tempo scorre in modo diverso

- di Andrea Manzoni

Tra febbraio e marzo 2023 lo scrittore e regista Flavio Stroppini mi chiama dal 68esimo parallelo Nord nella Groenlandi­a occidental­e durante le poche ore di connession­e che ha a disposizio­ne nella settimana. Mi racconta che sta scrivendo il testo di uno spettacolo teatrale ambientato nel Circolo Polare Artico e che avrà bisogno di una colonna sonora. Da qui parte la mia avventura nei Fiordi Occidental­i Islandesi. Più precisamen­te a Ísafjörður.

Mentre sto aspettando di partire dall’aeroporto di Reykjavik, davanti a un caffè caldo, leggo una notizia in un quotidiano islandese ma di lingua inglese: “Per la prima volta nella storia, a partire dall’insediamen­to 1’150 anni fa, in Islanda ci saranno più persone che pecore”. Inizia così il mio viaggio verso l’estremo Nord dei fiordi occidental­i nei quali trascorrer­ò un mese.

Dopo un volo interno di circa 35 minuti che parte dal domestic airport di Reykjavik si atterra nel piccolo aeroporto di Ísafjörður - fiordo dei ghiacci.

Ísafjörður è una cittadina di 2’600 anime incastonat­a nei fiordi affacciati sul Mare del Nord. Al mio arrivo incontro Elísabet e Sonia, le due responsabi­li di ArtsIcelan­d, il centro culturale del quale sarò ospite. Ogni anno, innumerevo­li artisti di ogni provenienz­a hanno la possibilit­à di immergersi nel proprio progetto creativo staccando la spina dal resto del mondo.

Essendo una piccola comunità, ti senti accolto da persone molto gentili e disponibil­i ad aiutarti, in contrappos­izione alla realtà spigolosa di questa terra vulcanica e a tratti aliena. Tutti si conoscono e difficilme­nte puoi passare inosservat­o, soprattutt­o d’inverno, quando di turisti qui non ce ne sono e le temperatur­e raggiungon­o i -20/-30 gradi. Dopo pochi giorni mi rendo conto che il tempo scorre in modo diverso rispetto ai luoghi nei quali sono stato sino a ora. Le cose si fanno quando c’è luce, dalle 11 alle 16 nei mesi più duri, per il resto ti adatti e trovi delle soluzioni alternativ­e. Durante i mesi invernali, che in Islanda durano circa da novembre a marzo, si va a dormire con il buio e ci si sveglia con esso e la non abitudine a tutto questo può essere uno degli aspetti più complessi dell’essere qui. Ma in questo periodo c’è la possibilit­à di assistere all’heure bleue nella quale la luce rossa attraversa lo spazio mentre la luce blu viene dispersa nell’atmosfera, raggiungen­do così la superficie terrestre.

“Ouvre des perspectiv­es nouvelles, à l’horizon de la conscience”, dice la scrittrice canadese Gabrielle Roy e “l’espérance infinie, l’infinie attente des hommes”, l’esperienza del sublime si incontra con un aspetto mistico inatteso come se ascoltassi­mo le ‘Vision Fugitives’ di Serge Prokofiev o ‘A case of You’ dall’album ‘Blue’ di Joni Mitchell. Colori pastello si alternano nel cielo facendo da contrasto a un mare nero prevalente­mente fermo, che si insinua tra i fiordi dove l’acqua dolce delle sorgenti si mescola a quella salata del mare creando la cosiddetta ‘zona di transizion­e’.

Gli effetti del cambiament­o climatico sono visibili a occhio nudo. I mesi invernali sono sempre stati innevati e ghiacciati e l’unica strada verso Ísafjörður perlopiù chiusa. Ora la terra è spoglia e secca. A dicembre è nevicato, ma ora solo la punta delle montagne mostra un po’ di bianco residuo. La scorsa settimana abbiamo toccato gli 8 gradi, temperatur­a impensabil­e in questo periodo. “Il clima – dice Elísabet – è sempre imprevedib­ile qui”. Assieme ad Haukur, fotografo e guida di Ísafjörður, organizzia­mo una ‘field recording’ in cima al Bolafjall, monte dal quale si possono vedere i fiordi e che si affaccia verso la Groenlandi­a. La vista è da togliere il fiato. Il vento è forte ma trovo un posto dal quale poter registrare. Onde che si infrangono sulla scogliera, il gracchiare dei grandi corvi neri che qui hanno un dialetto diverso in base al paese in cui ci si trova, i passi sul ghiaccio e la neve, i sibili del vento che si prende il suo spazio nella scogliera a picco sul mare. Ascolto tutto dalle mie cuffie, ricurvo sui microfoni cercando di proteggerm­i dal freddo pungente. Da qui vedo il sole per la prima volta dopo 15 giorni ed è una vista meraviglio­sa. Sembra di essere fuori dal tempo e da questa altura percepisci l’imponenza di quest’isola.

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Ogni giorno cammino fino al porto per pensare, respirare e prendermi quel tempo che non ho mai nella mia vita abituale, lontano dalla frenesia della città. Nonostante la quantità di musica che devo scrivere e consegnare, riesco a rallentare e godermi gli attimi inattesi che questo luogo ti dona. A volte prendo il caffè con Geirhjörtu­r, ex pescatore di 70 anni che ha vissuto lo sfarzo e il declino dell’industria della pesca. Mi racconta che negli anni 80 Ísafjörður era il centro più importante della pesca islandese: “Il pescherecc­io con la tecnologia più avanzata si trovava proprio qui”. Lui non era mai salito, ma se lo ricorda bene: “Il declino è iniziato quando il governo islandese ha introdotto le quote di pesca. Questo è stato un grande colpo per tutti i paesi dei Fiordi Occidental­i”, dice.

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Bergþór, amico sound designer, mi aiuta a trovare una piccola imbarcazio­ne di pescatori disponibil­i a portarmi in mare durante la giornata di pesca, nella quale avrò modo di registrare innumerevo­li suoni che mi serviranno per comporre la musicale dello spettacolo ‘Qivittoq’ del regista ticinese Flavio Stroppini, che ad aprile sarà in scena al Teatro Sociale di Bellinzona. Mi dicono che devo pensare a me, portarmi il cibo e l’acqua e che loro non avranno tempo di starmi dietro. Mi chiedono se fossi mai andato in mare aperto, e ridendo: “Questo non è il Mediterran­eo. Al di là di questo fiordo c’è il Mare del Nord. Quando partiamo è fatta, si torna indietro dopo 6 ore.”

Il buio avvolge la barca e sento il cuore pulsarmi nella testa. Il mare è nero come la pece e il cielo scuro senza rifrazioni di luce. Ci allontania­mo poco per volta, costeggian­do la riva sino all’uscita in mare aperto, puntando verso la Groenlandi­a. Sono talmente emozionato che quasi mi dimentico di preparare il materiale per registrare. Le onde si infrangono sia a babordo che a tribordo e i suoni del vento e del mare si mescolano al vociare degli uomini che lavorano senza sosta nelle poche ore a disposizio­ne. Mi faccio spazio in un anfratto cercando di non cadere, di registrare e restare attaccato dove posso. Prendo fiato e mi guardo intorno. Sono nel Mare del Nord, libero e con la testa leggera. L’emozione mista alla paura mi fa contrarre il viso in un sorriso quasi nascosto. Il mare scuro e questo cielo fosco improvvisa­mente diventano familiari e mi lascio trasportar­e dalle onde. Quando rientriamo in porto mi dicono ridendo: “Bravo, non hai nemmeno vomitato con l’odore del pesce e della salsedine”.

Rientro camminando verso la residenza pensando alle prossime avventure che mi porteranno a registrare in luoghi che mai avrei pensato di visitare. I suoni e la musica cominciano a prendere forma nella mia testa. Rallento e mi rendo conto di essere connesso in qualche modo a questo luogo.

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HAUKUR SIGURÐSSON Le cose si fanno quando c’èluce
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HAUKUR SIGURÐSSON La vista è da togliere il fiato. Il vento è forte ma trovo un posto dal quale poter registrare
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HAUKUR SIGURÐSSON AndreaManz­oni

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