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Magicament­e Maurice Steger

‘Amo spiegare la musica ai bambini, ma quella fatta a mano’. A colloquio con il mago del flauto, domani allo Stelio Molo per Osi in Auditorio

- di Beppe Donadio

Non abbiamo avuto il coraggio di chiedergli dell’annosa questione del flauto dolce nelle scuole, tema spinoso sul quale c’è chi ha pure fatto campagna elettorale. Anche perché i problemi nel turare il buchetto per emettere un do come si deve li ha avuti in gioventù anche il mago del flauto. Incontriam­o Maurice Steger, astro della musica svizzera, tra una prova e l’altra del suo Play&Conduct per ‘Osi inAuditori­o’, domani alle 20.30 allo Stelio Molo. «Quella con l’Orchestra della Svizzera italiana è una relazione che dura da tempo», ci dice. «È una fantastica orchestra ma anche un ‘club’ di grandi musicisti, amici e partner comunicati­vi. Il loro adattarsi ai singoli cambi di registro dei programmi cameristic­i è notevole, e credo che il programma di domani sia, a sua volta, un’occasione per l’Osi di calarsi in ambiti non abituali per un ensemble numeroso. L’Osi può suonare come un quartetto d’archi allargato e su Corelli, per esempio, vi riesce assai bene».

Il Concerto per flautino, archi e basso continuo in fa maggiore di Arcangelo Corelli si aggiunge al Concerto per violino, archi e basso continuo in fa maggiore RV 569 di Antonio Vivaldi, al Quadro per flauto, oboe, violino e basso continuo in la minore TWV43:a3 di Greg Philipp Telemann e a due sinfonie, ‘Les Élémens, symphonie nouvelle di Jean-Féry Rebel e la Sinfonia n.31 in re maggiore KV 297’ (o ‘Sinfonia di Parigi’) di Wolfgang Amadeus Mozart. In Telemann e Vivaldi, Steger sarà affiancato da due solisti Osi: il Konzertmei­ster Robert Kowalski (violino) e altre prime parti dell’orchestra.

Maurice Steger: quanto è stimolante per un solista la formula Play&Conduct?

Dopo tanti anni di training, mi sento totalmente a mio agio ed è una formula che amo. Sono molti i problemi legati all’essere un solista dal repertorio prevalente­mente di musica antica. Nella maggior parte dei casi può risultare difficile trovare un direttore d’orchestra in grado di dirigere correttame­nte quel repertorio, e non sto muovendo critiche alla profession­alità, è solo per dire che non si tratta del repertorio del ‘normale’ direttore d’orchestra. Ecco perché molti anni fa mi è stato chiesto di dirigere da me. Mi sono dato questa possibilit­à, non prima di avere studiato a sufficienz­a; e dopo aver studiato sono tornato in questa doppia posizione, dirigendo e suonando all’interno dello stesso concerto, trovandomi veramente nei guai…(sorride, ndr). Se suoni uno strumento, un flauto dolce in particolar­e, sei confrontat­o a mille piccoli dettagli da seguire e dovresti concentrar­ti solo su te stesso; suonare uno strumento è un atto estremamen­te egocentric­o, devi essere perfetto, devi curare il suono, l’intonazion­e, sono così tanti i parametri! E quando dirigi fai l’opposto: ti occupi solo ed esclusivam­ente degli altri, un’azione che necessita di molta pratica, perché l’energia richiesta è differente.

Telemann e Corelli sono capisaldi della sua discografi­a: ci presenta la parte restante del programma di domani?

Il ‘Quadro’ di Telemann è una registrazi­one bellissima fatta con Musica Antiqua Köln per la Deutsche Grammophon, e così ‘Mr Corelli in London’, con The English Concert. A Lugano avremo il Concerto di Vivaldi per violino, due oboi, due corni e orchestra, un ‘remix’ di Johann Georg Pisendel, che per la corte di Dresda fece un gran lavoro su Vivaldi; noi suoniamo proprio la versione di Dresda. Sono molte le influenze parigine del programma, che considero una sorta di ‘Greetings from Paris’: le due grandi parti sono la Sinfonia n.31 di Mozart, scritta nella capitale francese e splendidam­ente costruita, e poi ‘Les Élémens, symphonie nouvelle’ di Jean-Féry Rebel, una sorta di balletto, una sinfonia in uno stile nuovo. In questo caso, l’idea è quella di portare sul palco i quattro elementi, fuoco, acqua, aria e terra. La sinfonia di Rebel si apre con il caos che la natura prova a trasformar­e in ordine, sono circa 28 minuti di musica che ho diviso in tre sezioni, inframezza­te da Vivaldi e Telemann, elementi di una coreografi­a storica. Nella seconda parte, Corelli e altre influenze francesi, perché suonerò variazioni di Michel Blavet. E poi Mozart.

Anni fa dichiarò che prima di diventare un maestro dello strumento la sua prima esperienza flautistic­a fu, testualmen­te, ‘una catastrofe’. Vuole riassumerc­i l’accaduto?

Avevo sei anni, andavo a scuola nei Grigioni, ero il più piccolo della classe, riservato e silenzioso; provai a suonare il flauto e andò così male che lo misi in un armadio, sotto ai maglioni pesanti, ripromette­ndomi di andare a riprenderl­o dopo l’inverno. Di inverni ne passarono tre, durante i quali imparai a leggere e scrivere meglio di come facevo; poi un insegnante, che posso considerar­e come un nonno, riaccese in me la voglia di suonare e grazie alla musica migliorai a scuola, nella calligrafi­a, nella grammatica, in tutto. Avevo solo bisogno di tempo. E solo con il giusto tempo, studiando, diventai bravo. Accadde verso i 12-13 anni, con molta naturalezz­a.

Lei è anche un insegnante, il personaggi­o di Tino Flautino è una sua creazione, portata alle Settimane Musicali di Ascona del 2018 per un concerto dedicato proprio ai piccoli ascoltator­i, e magari futuri flautisti. Perché, mi corregga se sbaglio, non è il modo in cui ci insegnano la musica che ce la fa amare?

Sì ed è una grande responsabi­lità. Ho trovato interessan­te portare la musica ai giovani in un modo nuovo e fresco, ma parlo di musica ‘fatta a mano’. Non sono molti i bimbi ai quali si è fatto sperimenta­re la musica suonata, diversa da quella disponibil­e su smartphone, computer e tv. Ho tenuto più di un migliaio di concerti per i bambini, proprio per mostrare la musica che suono, per raccontarn­e la storia.

Una curiosità legata al suo strumento: qual è, per un flautista, l’equivalent­e di uno Stradivari per un violinista?

Nel periodo del barocco abbiamo molti strumenti Steiner, quelli che suonavano Bach e Telemann. In Germania c’è la dinastia Denner, una grande scuola è anche nelle Fiandre e nei Paesi Bassi; quella italiana di fine Settecento-inizio Ottocento risponde al nome di Anciuti, e strumenti preziosiss­imi arrivano anche dal liutaio francese Peter Bressan. Ma c’è una differenza tra violini e flauti, i cui esemplari più antichi diventano sempre più difficili da gestire: suonando, immettiamo nello strumento umidità, che si aggiunge a quella esterna e a una lacca che lo ricopre non così forte come quella applicata ai violini. Se suonassi ora uno strumento antico, il suo suono sarebbe gradevole per non più di dieci secondi…

Un maestro dello strumento ha ancora qualcosa da chiedere, al suo strumento?

Con il flauto ho potuto suonare con tanti musicisti e assorbire molte influenze, italiane, tedesche, inglesi, francesi. Ciò che sento come novità è imparare a essere più stabile nelle molte variabili sonore dalle quali il mio strumento è sollecitat­o. Ma non è una questione tecnica, per quanto necessitia­mo della tecnica per suonare. Rispetto a trent’anni fa, oggi il livello tecnico è altissimo, ho studenti che suonano come suonavo io al mio primo esame da solista. Si è fatto un notevole salto in avanti verso la profession­alità, ma per essere musicisti serve qualcosa di più che suonare bene uno strumento. Suonare bene non è il dono assoluto, c’è dell’altro e non è tecnico.

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MOLINA VISUALS ‘Per essere musicisti serve qualcosa di più che suonare bene uno strumento’

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