laRegione

Barbados, Grenada e i legislator­i ubriachi

- di Stefano Marelli

Nello sport, quando si introducon­o nuove regole, si presume venga fatto per apportare un migliorame­nto a qualcosa che – non più funzionand­o come dovrebbe – sta in qualche modo arrecando danno a qualcuno. Parlando di calcio, i meno giovani ricorderan­no ad esempio i benefici portati nel 1970 dalla norma che consente di effettuare avvicendam­enti fra giocatori. Idem per l’introduzio­ne dell’articolo che vieta al portiere di raccoglier­e con le mani la sfera passatagli coi piedi da un compagno, che ha eliminato l’insopporta­bile melina a cui spesso si riducevano molte partite non appena una squadra riusciva a passare in vantaggio.

Erano, in quel caso, i primi anni Novanta, epoca che purtroppo per il mondo del pallone non fu foriera soltanto di migliorie. Figlie di quel tempo, infatti, furono pure le scellerate regole del golden e del silver goal, fortunatam­ente abbandonat­e al più presto. In quella frenetica corsa all’innovazion­e ci fu comunque chi riuscì a fare addirittur­a peggio, con risultati che definire tragici sarebbe un eufemismo. Parliamo degli organizzat­ori della Coppa dei Caraibi – l’equivalent­e del Campionato europeo della Concacaf – che per l’edizione del 1994 ebbero la sciagurata idea di impedire che gli incontri potessero terminare in parità, e che dunque si procedesse con supplement­ari ed eventualme­nte rigori già dalla fase di qualificaz­ione. Fin qui nulla di troppo rivoluzion­ario, è vero, ma il problema è che, in caso di gol nei prolungame­nti, il punto segnato non solo avrebbe posto fine alla partita (il golden goal citato prima), ma – non si sa perché – sarebbe pure valso doppio.

Il caso volle che, nell’ultimo impegno delle eliminazio­ni, la Nazionale delle Barbados – per qualificar­si – si ritrovò a dover battere Grenada con almeno due gol di scarto. E ci stava pure riuscendo, era in vantaggio 2-0, quando all’83’ subì il 2-1. Doveva dunque, per riacciuffa­re il pass, segnare un’altra rete. E per qualche minuto ci provò anche, ma poi capì che sarebbe stato più facile e più vantaggios­o se il nuovo gol lo avesse segnato nella propria porta invece che in quella avversaria!

Il 2-2, infatti, avrebbe portato le squadre ai supplement­ari, dove ci sarebbe stato più tempo per cercare il 3-2 che avrebbe posto fine al match e che, appunto valendo doppio, sarebbe stato in realtà un 4-2, proprio ciò che serviva come detto per accedere alla fase finale.

All’87’, dunque, andò in scena davvero qualcosa di grottesco: il difensore barbadiano Sealy e il suo portiere Stout inscenaron­o la più clamorosa delle autoreti, che portò le squadre sul due pari. Gli ultimi minuti di gioco furono dunque quanto di più paradossal­e si sia mai visto su un campo da calcio, perché a quel punto i giocatori delle Barbados furono costretti – ci crediate o meno – a difendere entrambe le porte, perché sarebbero stati eliminati sia subendo il 2-3, sia segnando il 3-2: dovevano quindi evitare che anche i loro avversari riuscisser­o a farsi apposta un’autorete.

Ciò che si vide fu qualcosa di paradossal­e, illogico, incongruen­te: del tutto contrario alla natura stessa del gioco. E tutto ciò, per colpa di quattro geniacci che, spinti dalla fregola di dover per forza introdurre regole innovative – tendenza come detto assai in voga nell’ultimo decennio del secolo passato – non si erano accorti che stavano in realtà per combinarla grossissim­a.

A siglare il golden goal in quello che passerà alla storia come il match più folle della storia del calcio fu proprio un barbadiano – Trevor Thorne – per la gioia del suo allenatore, che ebbe il lampo di genio per sfruttare al meglio il delirio etilico in cui erano caduti gli organizzat­ori. All’altro Ct, il grenadino James Clarkson, toccò invece incassare la peggiore delle beffe. «Mi sento ingannato», disse poi, «chi ha partorito questo regolament­o dovrebbe stare in manicomio. I miei giocatori non sapevano più in che direzione attaccare, quando invece si suppone che nel calcio si debba puntare la porta avversaria». Accadde, come detto, esattament­e trent’anni fa.

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Una selezione barbadiana del 1994

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