laRegione

Il bulletto razzista e il magistrato

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di Simonetta Caratti

Dove i genitori sono stati latitanti è arrivata (veloce ed efficace) la Magistratu­ra dei minorenni, sanzionand­o qualche mese fa un ragazzino delle Medie che aveva ripetutame­nte insultato nella chat dei compiti un compagno di classe delle Medie di Lugano per il colore della sua pelle. Insulti e minacce ripetuti: ‘Sei un brutto negro. Sei uno scimmione africano. Ti pesto a sangue’. Il leoncino da smartphone 13enne è stato condannato per discrimina­zione razziale (un reato perseguibi­le d’ufficio) e minaccia (due giornate, sospese, di lavori di utilità pubblica). Risultato: ha abbassato la criniera. Seppur oberata (lo scorso anno ha aperto 1’426 incarti), la Magistratu­ra dei minorenni non ha perso tempo e ha preso sul serio la sofferenza dell’adolescent­e. In poco meno di tre mesi, bullo, vittima e rispettivi genitori sono stati convocati e ascoltati; gli inquirenti hanno vagliato le prove e c’è stato il decreto.

Da giugno scorso abbiamo seguito e raccontato questa brutta storia di razzismo nata tra i banchi di scuola e continuata sulla piattaform­a social, perché volevamo anche osservare come le varie istituzion­i reagiscono.

La magistratu­ra è stata tempestiva. La scuola ha messo i ragazzi in due classi diverse, ma in un primo momento, aveva risposto ai genitori della vittima di non poter controllar­e una chat creata dagli studenti per studiare. Come dire, non possiamo farci nulla. Eppure la condanna dice altro.

A volte ci si perde in disquisizi­oni giuridiche tra spazio pubblico e spazio privato, perdendo di vista i contenuti, la ferocia degli insulti, la sofferenza che causano, la disarmante giovane età dei bulli, la latitanza dei genitori. Toccherebb­e a loro vigilare sull’uso che un adolescent­e fa dello smartphone. Che sia penalmente rilevante o meno, l’insulto razzista va combattuto. Questo decreto è un segnale forte per scuola, docenti, genitori, ragazzi e società tutta.

Soprattutt­o per la scuola, dove i ragazzi trascorron­o tanto tempo, dove si insegna cos’è il razzismo e dove spesso iniziano questi episodi. Ogni istituto dovrebbe avere un punto di riferiment­o per i casi di razzismo, dove docenti, studenti (sia vittime, sia autori) e familiari possono rivolgersi. Il passo successivo è prendere provvedime­nti adatti alla situazione per evitare la vittimizza­zione secondaria e aiutare anche l’aggressore. Un bullo rinsavito è una buona cosa per tutti. La tendenza diffusa è purtroppo lasciar correre. Intervenir­e invece è importante. Sono problemati­che che secondo Martine Brunschwig Graf, presidente della Commission­e federale contro il razzismo, andrebbero tematizzat­e nel percorso formativo dei direttori scolastici. Dopo il nostro articolo, altre famiglie hanno segnalato al Centro per la prevenzion­e delle discrimina­zioni (Cpd) casi simili in contesti scolastici. Il punto è che spesso i genitori delle vittime sono stranieri e non sanno cosa fare, quali sono i loro diritti; temono che reagendo la situazione possa peggiorare. Dicono ai loro figli di tenere duro, magari tentano un dialogo coi genitori del bullo. Alla disperata cambiano scuola. Ed è il colmo: chi è incivile alla fine l’ha pure vinta. Nel caso di cui abbiamo riferito, uno dei genitori è ticinese e ha deciso di reagire contro questo bombardame­nto di fango che toglieva l’appetito a suo figlio. La pena è leggera, ma la famiglia si è sentita presa sul serio e gli insulti sono terminati. L’esempio viene dalle istituzion­i: se non si proteggono le vittime, passa il messaggio che nessuno è responsabi­le e il razzismo è tollerato.

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