Ventitré convogli stipati di ‘Stücke’
Mentre al piano superiore era (e lo è tutt’ora) un viavai di passeggeri, sotto ad andare e venire erano le merci. O, appunto, gli ebrei e i prigionieri politici
‘Indifferenza’. Impossibile non vedere quella parola (scelta da Liliana Segre, ultima persona ancora in vita del secondo convoglio partito da Milano e diretto ad Auschwitz, il 30 dicembre del 1944) scritta a caratteri cubitali, che ci accoglie appena varcata l’entrata del Memoriale della Shoah. Come del resto era impossibile non vedere quelle camionette che a notte fonda imboccavano in retromarcia il viale d’accesso a quel settore dello scalo ferroviario cariche di persone in quegli ultimi tragici anni della Seconda guerra mondiale, a meno di non volgere altrove lo sguardo, volutamente o no. Camionette cariche di ebrei trasferiti dal carcere di San Vittore in attesa di essere inviati, come ‘merce’ – ‘Stücke’, come venivano tristemente definiti dagli addetti alle operazioni in stazione, per fare pace con la propria coscienza e giustificarne la presenza in una zona altrimenti riservata esclusivamente alle merci –, verso capolinea dai nomi tristemente noti: Auschwitz, Mauthausen, Bolzano, ...
«Dopo la Seconda guerra mondiale questo deposito era stato quasi dimenticato, tant’è vero che a un certo punto si era addirittura ventilata l’idea di costruirci un supermercato», racconta Nicola , la nostra guida per il Memoriale, la cui voce viene più volte sovrastata dal rumore di un treno in transito sui binari soprastanti, dando alla scena un tocco ancora più lugubre che ben si sposa (purtroppo) con quanto proprio qui hanno provato sulla loro pelle migliaia e migliaia di persone. La Storia, quella con la ‘esse’ maiuscola, gli ha però riservato un destino diverso a questo luogo, dove nel 2013 viene inaugurato il Memoriale della Shoah. «Un doveroso omaggio a chi qui ha perso tutto, compreso il bene più prezioso: la vita. E, al tempo stesso, una testimonianza storica affinché il ricordo di questa immane carneficina resti indelebile. Perché proprio qui sotto, nelle viscere della Stazione Centrale, con la compiacenza di molte persone che ‘fingevano’ di non sapere e volgevano la testa dall’altra parte si è compiuto il destino di migliaia di persone. Tutto, qui, nella ‘pancia’ della Stazione Centrale, è stato mantenuto come allora; perfino le colonne portanti di questo settore della stazione, comprese le sbrecciature». Complessivamente, tra dicembre 1943 e gennaio 1945 da Milano partirono 23 convogli carichi di ebrei o prigionieri politici. Un viaggio nella maggior parte dei casi senza ritorno... «Parlare di Olocausto (che letteralmente significherebbe ‘sacrificio propiziatorio’) non sarebbe corretto, per questo si è deciso di riferirsi a quanto perpetrato dai nazisti ai danni degli ebrei con il termine di Shoah, ossia ‘distruzione’: in questa storia, per quanto ci è dato a sapere, nessuno si è sacrificato volontariamente».
Come in superficie (o, meglio, al piano rialzato della Stazione Centrale), anche nelle sue viscere erano presenti ventiquattro binari, «tutti però adibiti esclusivamente al traffico di merci, posta e bestiame».
Poco oltre l’entrata, in un cubo di vetro che sembra illuminato a giorno dalla luce naturale che penetra dall’esterno – in netto contrasto col resto dell’ambiente, più tetro – si possono scorgere migliaia di libri e documenti. «È il nostro archivio storico, una biblioteca che custodisce 35’000 volumi del Centro documentazione ebraica. È stata realizzata in quello specifico punto perché è proprio lì che nelle buone giornate l’illuminazione è maggiore. Quello è il luogo in cui saranno custodite in modo imperituro la memoria e le prove concrete della Shoah, anche quando non ci saranno più testimoni diretti in vita. Lì, fra gli altri, si trova pure il documento della registrazione alla Prefettura di Milano effettuata da Alberto Segre, il papà di Liliana, in ottemperanza al censimento di tutti cittadini italiani di origine ebraica decretato nel 1938.
Oltrepassati i vagoni su cui venivano mandati alla morte ebrei e prigionieri politici (gli originali di allora, recuperati ma volutamente non restaurati), si scorge il montacarichi con cui venivano issati al piano superiore.
Sul piazzale, accanto al binario, 23 targhe riportano data e tragitto di quegli altrettanti convogli della morte partiti dalla Stazione Centrale. Mentre sullo sfondo della parete è proiettato l’elenco delle 774 persone caricate sui primi due treni di prigionieri partiti da Milano, con, evidenziati in arancione, i soli 27 sopravvissuti a quell’inferno. E fra questi nomi c’è pure quello di Liliana Segre, l’unica ancora in vita.