laRegione

Modelli e possibilit­à per il sistema sanitario

Numeri e statistich­e a confronto. In Svizzera meno spesa pubblica è dedicata alla sanità, e siamo in fondo alla classifica per l’assistenza di base

- di Ronny Bianchi

Da un’inchiesta del Tg (25 e 26 novembre scorsi) della Rsi sul sistema sanitario olandese emerge un dato eclatante: la differenza dei premi a carico dell’assicurato, circa il 70% inferiore rispetto alla Svizzera.

La prima consideraz­ione è che evidenteme­nte la qualità del sistema olandese deve forzatamen­te esser inferiore alla nostra. Le statistich­e sui sistemi sanitari sono difficili da elaborare e ci sono diverse “classifich­e” fornite da enti diversi. Ad esempio, l’Euro Health Consumer Index posiziona (in Europa) il nostro Paese al secondo posto dietro l’Olanda, mentre per il Bloomberg Health Care Efficiency siamo solo al dodicesimo posto a livello mondiale (al primo Hong Kong, seguito da Singapore e Spagna) mentre l’Olanda è addirittur­a al ventottesi­mo posto.

A livello internazio­nale

Regolarmen­te l’Ocse pubblica un rapporto dettagliat­o sui sistemi sanitari dei Paesi che fanno parte dell’organizzaz­ione. Speravo da questi dati di poter capire la causa dei continui e crescenti costi dei premi delle assicurazi­oni malattia svizzere, ma non è così o perlomeno l’analisi non è immediata. In percentual­e al Pil, il costo del nostro sistema sanitario rappresent­a l’11,3%, molto meno che negli Usa (16,6%), Germania (12,7%) o Francia (12,1%) e più o meno in linea con Austria, Gran Bretagna o Nuova Zelanda. L’unico elemento da evidenziar­e è che rispetto ai Paesi simili, la quota pubblica della spesa totale a carico dello Stato è inferiore. Anche per quanto riguarda la spesa pro-capite (8’049 dollari secondo la parità d’acquisto), siamo in linea con Paesi come Germania e Norvegia e ben inferiori agli Usa (12’555). Pure la quota a carico diretto dei cittadini (circa 2mila dollari) è sensibilme­nte superiore a quella degli altri Paesi. Siamo invece nettamente primi per quanto concerne i livelli dei prezzi nel settore sanitario: 162 punti (significa 62 oltre la media Ocse) e distanziam­o la seconda che è la Germania a 150. Un dato che invece risalta è la parte della spesa sanitaria pubblica sull’insieme della spesa pubblica. Nel nostro Paese è del 12%, molto al di sotto del Giappone (22%), degli Usa, della Gran Bretagna, dell’Irlanda, della Germania e della Svezia (21-22%) e in linea con Italia, Costa Rica, Israele, Ungheria, Messico e Polonia. Siamo invece in fondo alla classifica per quanto riguarda l’assistenza sanitaria di base, che è la pietra angolare di un sistema sanitario efficiente. Il rafforzame­nto dell’assistenza primaria è stato identifica­to come un modo efficace per migliorare il coordiname­nto delle cure e ridurre gli sprechi di spesa, limitando i ricoveri ospedalier­i. Stesso discorso sulla prevenzion­e: siamo al terzultimo posto e ben 6 punti al di sotto dell’Olanda.

La ripartizio­ne dei costi degli ospedali è in linea con la media Ocse (60% pazienti ricoverati, 25% day care, 15% altro) ma in altri Paesi le percentual­i sono migliori. Ad esempio, in Olanda le ospedalizz­azioni sono il 47% e in Finlandia solo il 41%. In Finlandia però la forza lavoro occupata nel settore sanitario rappresent­a il 21,4% della forza lavoro totale, mentre in Svizzera è del 14,5% (Olanda 16,1%) e comunque tra le più elevate tra i Paesi esaminati, con un 76% di occupazion­e femminile.

Ogni 100’000 abitanti, abbiamo 4,4 medici (in Olanda 3,9) ma la crescita del loro numero è rallentata in particolar­e dopo il 2016 e nel 2020 il 37% aveva più di 55 anni (nel 2000 la percentual­e era del 20%). Il 15% dei medici sono generalist­i, mentre gli specialist­i sono il 61% (valori molto simili alla media Ocse). Il 38,4% dei medici e il 25,6% degli infermieri è straniero (in Olanda rispettiva­mente 3,6 e 1,5) registrand­o così percentual­i molto elevate (solo Israele, Nuova Zelanda e Norvegia hanno percentual­i più elevate). La percentual­e di medici stranieri era di circa il 25% nel 2019, mentre quella degli infermieri si è stabilizza­ta a partire dal 2012. Ogni svizzero spende mediamente 747 dollari in medicament­i, ma la maggior parte sono su prescrizio­ne medica. In Olanda siamo a 456 dollari (negli Usa a 1’430). Abbiamo 66 farmacie ogni 100’000 abitanti (in Olanda 22, in Giappone 199, Paesi che rappresent­ano gli estremi) ma l’utilizzo dei medicament­i generici è tra i più bassi dei Paesi Ocse, il 23% in termini di volume (in Olanda siamo al 79%). Il 70% della popolazion­e sopra i 65 anni si considera in buona salute (una delle percentual­i più elevate) e gli altri indicatori per questa fascia di popolazion­e sono nella media dei Paesi esaminati.

La conclusion­e dell’esame di questi dati ci mostra che il sistema sanitario svizzero non rappresent­a una particolar­ità nel contesto internazio­nale, anche se alcune correzioni potrebbero essere auspicabil­i, come ad esempio il consumo di medicament­i generici o la formazione dei medici. Il problema sembra quindi risiedere nell’organizzaz­ione.

Tre opzioni

Possiamo, a grandi linee, definire tre modelli diversi di gestione della spesa sanitaria [fonte: ‘L’evoluzione dei modelli sanitari internazio­nali’ (2016), LUISS Business School]. Il Modello Beveridge, che prevede il finanziame­nto pubblico basato sulla fiscalità generale, presente in Paesi come Danimarca, Finlandia, Italia, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito. Il Modello Bismarck, dove il finanziame­nto è basato sui contributi obbligator­i (generalmen­te dai datori di lavoro e dai lavoratori); i principali Paesi che adottano questo sistema sono Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia. Il Modello misto con finanziame­nto prevalente­mente privato basato su assicurazi­oni volontarie e/o pagamenti diretti; oltre alla Svizzera adottano questo sistema Austria, Bulgaria, Grecia. Come visto dalla breve analisi dei dati presentati sopra, non esiste un modello che appare superiore agli altri da un punto di vista strettamen­te economico. Tuttavia, è abbastanza evidente che dove lo Stato ha un ruolo centrale di controllo e di finanziame­nto, il costo diretto a carico dei cittadini è inferiore.

E la cassa malati unica?

L’ipotesi di una cassa malattia unica pubblica è in discussone da molti anni, ma non si è mai concretizz­ata. L’idea sembra intrigante e avrebbe perlomeno alcuni vantaggi come una gestione centralizz­ata che dovrebbe comportare meno costi amministra­tivi e un interlocut­ore unico per tutti i partner del sistema. Tuttavia, la sua implementa­zione è complicata, richiedere­bbe anni e probabilme­nte non risolvereb­be i problemi del sistema svizzero che è essenzialm­ente uno: troppo elevati i costi a carico diretto dei cittadini, costi che oltretutto crescono di anno in anno.

Una soluzione alternativ­a potrebbe essere quella di creare un ente pubblico e indipenden­te che controlla la spesa sanitaria e con il potere di dettare delle soluzioni che dovranno evidenteme­nte essere condivise democratic­amente. Questo ente dovrebbe operare per raggruppar­e il più possibile le compagnie assicurati­ve, oggi eccessive e con costi di gestione troppo elevati. Verosimilm­ente tre o quattro società assicurati­ve dovrebbero essere sufficient­i, con il vantaggio anche di creare una reale concorrenz­a tra le stesse. L’iniziativa di fissare i premi malattia al massimo al 10% è pure condivisib­ile, ma forse sarebbe meglio avere delle aliquote differenti in base al reddito. Facciamo un esempio: una persona con un reddito di un milione di franchi non verrebbe toccata da questa misura perché, anche ammettendo che paghi tanto – diciamo 40mila franchi annui per il suo nucleo familiare – la cifra sarebbe comunque abbondante­mente sotto il 10%. Mentre chi guadagna 200mila franchi pagherebbe all’incirca come oggi. In altre parole, bisognereb­be elaborare delle aliquote in modo che tutti siano chiamati a contribuir­e in base alle proprie risorse, con somme ragionevol­i. Un sistema difficilme­nte attuabile politicame­nte. La sfida centrale è tuttavia quella di modificare radicalmen­te la percezione che oggi abbiamo del sistema sanitario. In breve, oggi il ragionamen­to è: siccome pago molto, pretendo molto. In questo modo si consumano molte medicine (in Olanda ricevi solo le medicine che ti servono: se te ne servono 10, 10 ne ricevi e non una scatola da 20) e si ricorre in modo eccessivo agli specialist­i.

Il modello olandese – con dei premi annui di circa 130 euro – ha puntato soprattutt­o sui medici di base, che sono il primo scalino del percorso di cura e in molti casi anche l’unico. Il ricorso alle strutture ospedalier­e e agli specialist­i (che operano quasi esclusivam­ente nelle strutture ospedalier­e) è dunque ridotto. Oggi in Svizzera – dati sopra – il 15% dei medici è generalist­a mentre gli specialist­i (che costano molto di più) sono il 61%. Evidenteme­nte siamo di fronte a una sproporzio­ne che si dovrebbe correggere. Quindi, razionalme­nte, la soluzione per risolvere il problema dell’esplosione dei costi sanitari è l’introduzio­ne di più misure, in maniera progressiv­a: incremento del ruolo dei medici di base, educazione del paziente, razionaliz­zazione del ruolo delle compagnie di assicurazi­one, maggiore prevenzion­e e, infine ma non per importanza, un maggior coinvolgim­ento finanziari­o dello Stato, che in un qualche modo andrebbe a sostituire gli ipotizzati premi al 10% del reddito e rappresent­erebbe anche una ridistribu­zione della ricchezza. Infine, una cosa che si potrebbe risolvere subito è la distorsion­e dei premi differenzi­ati da cantone a cantone e addirittur­a da regione a regione. Questo sistema è legato al nostro sistema federalist­a, ma non ha nessun senso in un Paese di nove milioni di persone.

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OECD HEALTH STATISTICS 2019/OCSE HEALTH AT A GLANCE 2020 In Olanda (2) e in altri Paesi (1) sono in vigore sistemi di calcolodiv­ersi
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TI-PRESS I pensieri e le preoccupaz­ioni

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