laRegione

A ciascuno la sua memoria

- di Aldo Sofia

Novembre 2005. C’era voluto mezzo secolo, dopo la Seconda guerra mondiale, per estendere a livello internazio­nale (risoluzion­e Onu) la “Giornata della Memoria”. Affinché la Shoah – con i suoi milioni di ebrei sterminati solo perché ebrei dal nazismo – rimanesse scolpita nella memoria collettiva. Monito perenne e fecondo di quel “mai più” che doveva democratic­amente bandire la barbarie; avvertirci, come disse Primo Levi, che essa poteva riprodursi; non dimenticar­e, aggiunse Hannah Arendt, che lo sterminio era stato ferocement­e realizzato da umani “banalmente” normali; non perderne di vista la sua genesi storica (dai “Saggi di Sion” nella Russia zarista, ai pogrom nella civile Europa, preceduti nel lontano 1555 dall’infamia del primo ghetto voluto a Roma da un pontefice); e infine non eludere, oltre le responsabi­lità storiche della Germania, la complicità di nazioni in cui l’antisemiti­smo era germogliat­o e cresciuto perché comodo strumento di propaganda e di presunta purezza etnico-identitari­a. Qualche volta con successo, molte altre del tutto ignorata, a questo doveva comunque servire quella “Memoria”. E, aggiornata, a denunciare anche violenza e tragedie del nostro tempo. È che nella “Giornata della Memoria” di questo 2024 l’attualità più tragica ha fatto nuovamente (dopo la guerra ucraina) la sua pesante irruzione.

Con il brutale attacco antisemita di Hamas dello scorso ottobre nel Sud di Israele; e con la rappresagl­ia dello Stato ebraico (la “vendetta” come l’ha definita Netanyahu) che in 100 giorni ha provocato oltre 25mila morti. In grandissim­a maggioranz­a vittime civili. Ognuno con i propri protettori, dietro Hamas governi islamici che della questione palestines­e si sono serviti più che servirla; e a fianco di Israele nazioni democratic­he che a lungo e vergognosa­mente se ne erano lavate le mani. Per arrivare alla salomonica sentenza della Corte internazio­nale di giustizia dell’Aia: che non chiede il cessate il fuoco ma ‘ordina’ ad Hamas di liberare tutti gli ostaggi, e a Israele di evitare il ‘genocidio’ dei palestines­i, come se il gradino che precede l’eventuale condanna finale non poggi già su una intollerab­ile punizione collettiva che configura un crimine di guerra.

Così, nei giorni della Memoria le due parti in guerra agiscono sulla base di una memoria propria. Quella dello Stato ebraico, i cui cittadini sono rimasti psicologic­amente cristalliz­zati alla tragedia del 7 ottobre, riavverton­o una minaccia esistenzia­le, si sentono “assediati” dalla crescita ovunque dell’antisemiti­smo, mentre un ministro del governo nazional-religioso più a destra della storia israeliana ipotizza il ricorso all’atomica per vincere definitiva­mente a Gaza, mentre altri vogliono l’annessione di tutta la Palestina storica, il più possibile svuotata dei suoi residenti arabi. Sull’altro fronte la memoria dei dirigenti di Hamas, sempre ancorata all’inaccettab­ilità dell’esistenza stessa di Israele, all’insopporta­bilità della riuscita colonizzaz­ione sionista, ai villaggi palestines­i distrutti già dal 1948, al diritto al ritorno di milioni di profughi, esattament­e come la legge israeliana dell’Aliyah invita gli ebrei di tutto il mondo a immigrare in Israele. Convinzion­i sempre opportunam­ente incartate nei rispettivi testi sacri, Antico Testamento e Hadith del Profeta, che predicano per entrambi un unico regno “dal fiume Giordano al mare”. Intanto, è strage continua.

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