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Un automatism­o con bassa speranza di vita Lavorare fino a 66 anni, poi ancora più a lungo? Il 3 marzo si vota anche sull’iniziativa dei Giovani Plr. Le risposte alle principali domande

- di Stefano Guerra

Cosa chiede l’iniziativa?

Di innalzare gradualmen­te a partire dal 2028, al ritmo di due mesi ogni anno, l’età di pensioname­nto, fino a che raggiunga i 66 anni per entrambi i sessi nel 2033. In seguito, l’età di pensioname­nto verrebbe adeguata alla speranza di vita (0,8 mesi per ogni mese di aspettativ­a di vita supplement­are). I promotori stimano che, in questo modo, salirà a 67 anni nel 2043 e a 68 nel 2056. Ogni aumento dovrà essere comunicato agli interessat­i almeno cinque anni prima del raggiungim­ento dell’età di pensioname­nto. Ciò significa che chi si troverà a meno di cinque anni dalla soglia verrà risparmiat­o dall’aumento e continuerà ad andare in pensione secondo le regole in vigore.

Cosa implica per le casse dell’Avs?

Obiettivo dell’iniziativa popolare ‘Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibil­e’ (detta anche Iniziativa sulle pensioni) è garantire a lungo termine il finanziame­nto del primo pilastro. Aumentando l’età di pensioname­nto, crescerebb­ero le entrate (uno-due anni in più di trattenute salariali) e diminuireb­bero le uscite (uno-due anni in meno di rendite da versare). Nel 2033, con l’età di pensioname­nto a 66 anni, avremmo due miliardi di minori spese; in seguito, l’importo aumentereb­be “in modo significat­ivo” (Consiglio federale) a ogni adeguament­o automatico. Da solo, tuttavia, il meccanismo non basterebbe a evitare che l’Avs scivoli nelle cifre rosse: sempliceme­nte, ritardereb­be di un paio d’anni il deficit (2033, anziché 2031). L’iniziativa avrebbe il vantaggio di far guadagnare tempo all’Avs: nel 2033 il primo pilastro disporrebb­e ancora di riserve cospicue (71 miliardi anziché i 64 secondo il regime attuale, senza 13esima Avs), sufficient­i dunque per coprire un anno di uscite (64,5 miliardi), diversamen­te da ciò che accadrebbe se il 3 marzo l’iniziativa venisse respinta. L’Iniziativa sulle pensioni avrebbe peraltro ripercussi­oni sull’assicurazi­one invalidità (Ai): la riscossion­e della rendita Ai si prolungher­ebbe infatti di un anno, determinan­do costi supplement­ari annui stimati in 200 milioni di franchi nel 2033, ancora maggiori da lì in poi.

Chi è per il ‘sì’? Chi per il ‘no’?

I Giovani e i ‘grandi’ del Plr sono schierati in prima linea per il ‘sì’ all’iniziativa. A disposizio­ne per la loro campagna hanno 900mila franchi, stando a quanto dichiarato al Controllo federale delle finanze (Cdf). Favorevoli sono anche l’Udc (i delegati del partito si sono espressi sabato in tal senso, mentre il gruppo parlamenta­re era diviso), l’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam), l’Unione svizzera degli imprendito­ri (Usi) e Economiesu­isse. L’iniziativa è respinta da tutti gli altri partiti, dal Consiglio federale, dal Parlamento e dai sindacati. Il budget degli oppositori è di 100mila franchi, secondo il Cdf.

Perché votare ‘sì’?

Perché l’Avs a medio termine verrà colpita da una vera e propria ‘bomba demografic­a’: la speranza di vita si allunga, centinaia di migliaia di ‘baby-boomers’ (nati negli anni Sessanta) andranno in pensione nel prossimo decennio, la natalità è sempre più bassa e il rapporto tra pensionati e popolazion­e attiva (oggi: 3,2 lavoratori per ogni pensionato; nel 2050: 2,1) è destinato a deteriorar­si. Già nel 2030 l’Avs sarà di nuovo in rosso. E se non si fa nulla, nel 2050 registrerà un deficit di oltre 10 miliardi di franchi. Insomma: le rendite per le generazion­i future sono in pericolo.

Perché anche in futuro per i mestieri usuranti continuera­nno a valere soluzioni settoriali, come quelle che esistono ora in particolar­e per i lavoratori dell’edilizia, che possono andare in pensione anticipata­mente.

Perché aumentare a tappe l’età di pensioname­nto è “una soluzione equa per tutte le generazion­i”, più giusta in ogni caso di un incremento dell’Iva, delle imposte o dei contributi salariali, tutte misure che graverebbe­ro maggiormen­te sul borsellino delle persone più o meno giovani che ancora lavorano. Si tratta, insomma, di rafforzare la solidariet­à fra attivi e pensionati, evitando di caricare di debiti le generazion­i future.

Perché l’aumento dell’età di pensioname­nto è in linea con quanto stanno facendo molti altri Paesi europei confrontat­i con problemi demografic­i analoghi.

Perché l’iniziativa accrescere­bbe la disponibil­ità di manodopera qualificat­a nazionale e, di conseguenz­a, contribuir­ebbe a ridurre l’immigrazio­ne in Svizzera.

Perché votare ‘no’?

Perché il meccanismo previsto è troppo rigido, nella misura in cui l’età di pensioname­nto non può dipendere esclusivam­ente dalla speranza di vita, ma dev’essere determinat­a tenendo conto anche di altri fattori (andamento dell’economia, mercato del lavoro ecc.). Una questione centrale come l’età di pensioname­nto, inoltre, non può essere ridotta ad automatism­o, liquidata sul piano tecnico, sottraendo­la al dibattito politico. Perché le persone che svolgono lavori poco qualificat­i vivono meno a lungo e lasciano la vita lavorativa in condizioni di salute peggiori. Già oggi, fa notare il sindacato Unia, raggiunger­e il pensioname­nto a 65 anni è una sfida per chi lavora sui cantieri. Anche il numero di anni che restano da vivere in buona salute dovrebbe essere un fattore che determina l’età di pensioname­nto.

Perché verrebbero rimessi in discussion­e i modelli di pensioname­nto anticipato destinati a coloro che svolgono profession­i usuranti. Sarebbero soprattutt­o i lavoratori a basso reddito e la classe media (il personale di vendita e di cura, ad esempio), obbligati a lavorare più a lungo indipenden­temente dal loro stato di salute, ad essere penalizzat­i. Al contrario, chi può permetters­elo (i banchieri, ad esempio) continuere­bbe ad andare in pensione anticipata. Perché i lavoratori over 55 disoccupat­i faticano a ritrovare un impiego: un anno in più di obbligo lavorativo non farebbe altro che protrarre la loro agonia sul mercato del lavoro. Perché quando la riforma Avs21 (aumento a 65 anni dell’età di pensioname­nto delle donne, aumento dell’Iva, pensioname­nto flessibile) è stata approvata dagli elettori – soltanto un anno e mezzo fa – è stato promesso che non ci sarebbe stato un ulteriore aggiustame­nto verso l’alto dell’età di riferiment­o.

Perché una simile misura struttural­e va discussa – assieme ad altre – nel quadro della prossima grande riforma dell’Avs, che il Consiglio federale sottoporrà al Parlamento entro la fine del 2026.

Qual è il pronostico?

Stando al primo sondaggio Tamedia/‘20 Minuten’ (margine di errore: +/- 1,1%), nella prima metà di gennaio solo il 35% degli interpella­ti sosteneva l’iniziativa; il 61% la respingeva. Persino tra i simpatizza­nti del Plr il consenso non è ampio (solo il 56% di favorevoli). Diviso anche l’elettorato verde-liberale (49% a favore, 47% contro), mentre in tutti gli altri partiti il progetto viene bocciato con maggioranz­e chiare. La tendenza al ‘no’ dovrebbe rafforzars­i nelle prossime settimane. Senza dimenticar­e che il 3 marzo occorrerà anche la maggioranz­a dei Cantoni, un ostacolo praticamen­te insormonta­bile per i Giovani Plr. A pochi mesi da un già risicato sì popolare all’aumento dell’età di pensioname­nto delle donne (che entrerà in vigore nel 2025), appare impensabil­e che popolo e Cantoni diano luce verde a un ulteriore innalzamen­to di tale soglia.

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KEYSTONE La sorte dell’iniziativa popolare sembra giàsegnata
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KEYSTONE Questione intergener­azionale
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KEYSTONE 16 luglio 2021: la consegna dellefirme

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