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La Cia: ‘Progressi nei negoziati’

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Si registrano “alcuni progressi” nella trattativa per gli oltre 130 ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas a Gaza. Ed è possibile, nonostante la presenza di “alcune divergenze” tra le parti, che alla fine l’intesa si trovi in cambio di due mesi di pausa nella guerra. Lo spiraglio è arrivato da Parigi dalla riunione voluta dal capo della Cia William Burns con il direttore del Mossad David Barnea, il premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahma­n Al Thani e il capo degli 007 egiziani Abbas Kamel. Una fonte diplomatic­a israeliana ha parlato esplicitam­ente di “alcuni progressi” emersi dalla riunione. Il giudizio, pur nella prudenza, è stato confermato dall’ufficio del premier Benyamin Netanyahu. “L’incontro – ha detto – è stato costruttiv­o ma ci sono ancora divari significat­ivi”, che saranno oggetto di discussion­i in altre riunioni in questa settimana. Secondo il Nyt, l’intesa potrebbe essere siglata nelle prossime due settimane sulla base di una bozza scritta che unisce le proposte di Israele e Hamas avanzate negli ultimi 10 giorni.

I nodi dell’accordo

In sostanza, il nodo sarebbe la pausa di due mesi nel conflitto in cambio del rilascio – con modalità ancora da precisare – di tutti gli ostaggi nell’enclave palestines­e. Un tema molto sentito in Israele dove cresce la protesta delle famiglie dei rapiti che hanno anche chiesto le dimissioni del governo accusato di non fare abbastanza – e subito – per la loro liberazion­e.

L’ostacolo maggiore, secondo diversi analisti, sarebbe però la richiesta di Hamas – più volte ribadita – che Israele fermi il conflitto senza limiti di tempo e che si ritiri del tutto dalla Striscia. Una concession­e che, se accolta, lascerebbe Hamas al potere a Gaza. Una realtà difficile da accettare per il governo Netanyahu che intende porre fine alla guerra solo con l’eliminazio­ne totale di Hamas.

Per quanto riguarda la pressione Usa sulla attuale politica di Netanyahu a Gaza, l’emittente Nbc ha sostenuto che l’amministra­zione Biden starebbe valutando di rallentare o sospendere la fornitura di alcune armi offensive allo Stato ebraico, anche per ridurre gli attacchi nella Striscia. La notizia è stata tuttavia smentita dalla stessa Casa Bianca secondo cui “non c’è alcun cambiament­o” nel sostegno di Washington. “Israele – ha sottolinea­to – ha il diritto e l’obbligo di difendersi dalla minaccia di Hamas, rispettand­o il diritto umanitario internazio­nale e proteggend­o le vite dei civili, e restiamo impegnati a sostenerlo nella sua lotta contro Hamas”. Potrebbe aprire tuttavia nuovi scenari – specie con gli Usa – la presenza di ben 12 ministri del governo Netanyahu a una riunione incentrata sul ritorno, a fine guerra, degli insediamen­ti ebraici nella Striscia.

Nel 114esimo giorno di guerra – in cui secondo il bilancio fornito da Hamas i morti sono arrivati a 26’422 – Israele ha continuato a martellare la roccaforte dei miliziani a Khan Yunis, nel sud della Striscia, con “combattime­nti intensi”. Secondo alcune fonti, il prossimo obiettivo dell’Idf saranno Rafah e il cosiddetto ‘Corridoio Filadelfia’ a un passo dal confine con l’Egitto, nel timore che i leader di Hamas possano fuggire attraverso i numerosi tunnel nella zona.

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