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Quando la distopia diventa prospettiv­a

- di Daniel Ritzer

Ipnopedia, bispensier­o, neolingua, psicoreato, soma. La distopia ‘Svizzera 2030’, che ipotizza un intero Paese privo della distribuzi­one giornalier­a dei quotidiani in abbonament­o e confrontat­o con un servizio pubblico radiotelev­isivo dimezzato, richiama fortemente la terminolog­ia di due grandi classici della letteratur­a fantascien­tifica: ‘Il mondo nuovo’ di Aldous Huxley e ‘1984’ di George Orwell.

Ci accorgiamo di essere di fronte a un autentico e grosso problema quando la distopia comincia a trasformar­si in prospettiv­a. Ciò sta succedendo in questi giorni se si tiene conto delle discussion­i e proposte intorno al futuro ruolo della Posta da un lato, e del dibattito che accompagna l’iniziativa per ridurre il canone radio-tv a 200 franchi e relativa controprop­osta del Consiglio federale per una diminuzion­e della tassa di ricezione a 300 franchi a partire dal 2029 dall’altro. Due argomenti che convergono da qualche parte e che suscitano parecchia preoccupaz­ione: quella di ritrovarci fra pochi anni sprovvisti di una solida rete che garantisca alla popolazion­e l’accesso all’informazio­ne. Tra le proposte di revisione del mandato della Posta che il capo del Datec Albert Rösti avrebbe dovuto portare sul tavolo del governo all’ultima seduta (Rösti che sarebbe stato indotto a fare un passo indietro di fronte a diversi corapporti degli altri consiglier­i federali, stando a quanto rivelato dall’Aargauer Zeitung) ci sarebbe l’abolizione della consegna giornalier­a delle lettere e presumibil­mente anche di quella dei giornali, misura contenuta in un rapporto elaborato da una commission­e di esperti nel 2022 e che, come ha ben scritto il collega Bruno Costantini sul Cdt dello scorso 30 gennaio, qualora venisse applicata “ammazzereb­be definitiva­mente quel che resta dei quotidiani cartacei, salvo poi sciacquars­i la bocca con la solita vuota retorica sui pericoli che corre la democrazia se il panorama dell’informazio­ne s’impoverisc­e”. Dovrebbe essere piuttosto assodato che un’informazio­ne il più plurale possibile contribuis­ce al buon funzioname­nto del sistema democratic­o. Ribadirlo tuttavia non nuoce, visto che a quanto pare non è argomento del tutto sufficient­e a garantire una minima stabilità a un servizio pubblico svolto anche dai privati.

Sarebbe però opportuno provare anche a fare il ragionamen­to opposto, ovvero tentare di capire a chi o a cosa potrebbe essere funzionale un indebolime­nto del panorama mediatico. La questione, pur ideologica che sia per alcuni, non può essere considerat­a fine a se stessa: un popolo meno informato è un popolo più facilmente manipolabi­le. Di ciò una certa politica è consapevol­e e sembrerebb­e essere intenziona­ta a trarne vantaggio.

È qui che tornano in mente, prepotenti, i romanzi futuristic­i di Huxley e Orwell: una realtà in cui uomini e donne non vengono più educati o informati ma “condiziona­ti” attraverso la ripetizion­e continua di slogan (Il mondo nuovo); un mondo in cui si rende impossibil­e concepire un pensiero critico individual­e, in cui “la menzogna diventa verità e passa alla storia” e dove i contenuti di libri e giornali vengono continuame­nte riscritti automatica­mente da enormi e complessi macchinari (1984). E pensare che Huxley pubblicò il suo libro nel 1932, mentre Orwell nel 1949… Il 2030 può sembrare lontano, ma in realtà è dietro l’angolo.

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