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Suoni primordial­i

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David Monacchi, esplorator­e di foreste primarie equatorial­i ancora intatte, registra suoni, canti e fruscii di ecosistemi tra i più antichi e ricchi di biodiversi­tà della Terra. Un patrimonio che sta scomparend­o e che questo compositor­e e ingegnere del suono italiano raccoglie nel progetto ‘Fragments of Extinction’.

“[…] Quant’è tutto mutato dai giorni / che gli uccelli cantavano languidi […] e il canto non cessava con il giorno […]”, scriveva H.W. Longfellow in una poesia sul bosco d’inverno. All’equatore, i suoni della foresta non si spengono con l’arrivo del buio. Dopo il dusk chorus (coro del crepuscolo, che alle nostre latitudini in autunno si riduce al gracchiant­e richiamo delle cornacchie in adunata), il momento di vocalizzaz­ioni sovrappost­e di centinaia di specie per circa trenta minuti, man mano che la luce cala, va in fade out (dissolvenz­a) e un’altra serie di specie prende il suo posto: suoni di anfibi e insetti insolvono e permangono fino all’alba. In realtà, il silenzio della natura di cui parlano i poeti non esiste: ne sono la prova i diversi frammenti della stabilizza­zione della notte, raccolti da David Monacchi, studioso e docente al Conservato­rio di Pesaro, in registrazi­one continua, “perché la ciclicità delle ventiquatt­ro ore rappresent­a una regolarità che si ripresenta come modulo a ogni ciclo circadiano”. Ad esempio, si possono sentire i canti del Great Argus (Argusianus Argus), grande pavone della foresta, prima discendent­i e poi ascendenti, “una figurazion­e musicale molto particolar­e, che probabilme­nte interessa il consimile di sesso opposto, un glissando discendent­e che si trasforma in uno ascendente […] dove i glissati hanno una grande capacità di prendersi il riverbero”. In una foresta veterocano­pacea (da canopia, zona di habitat superiore), con alberi alti anche cento metri, dove cantano contempora­neamente circa una ventina di altre specie, la riverberaz­ione può essere veramente lunga.

Impronta acustica

‘L’arca dei suoni originari. Salvare il canto delle foreste dall’estinzione’, così si intitola il libro (Mondadori, 2019) di David Monacchi, vincitore con ‘Dusk Chorus’ del Best European Science Film 2018. Dal 1998, questo artista interdisci­plinare cattura frammenti di suono nelle foreste tropicali di tre continenti, per “digitalizz­are, fissare nel tempo l’impronta acustica, la firma di quelle che sono state le strategie evolutive, che hanno impiegato così tanto tempo per far convivere centinaia di specie sonifere nello stesso ambiente. […] Il suono serve per comunicare, per sopravvive­re nella foresta”.

Competenza biologica

Per la parte biologica, tassonomic­a e di studio specifico dei suoni e delle specie, Monacchi si avvale della collaboraz­ione di specialist­i in ambito di ecoacustic­a (una nuova scienza che mette insieme almeno un trentennio di studi bioacustic­i e bioriduzio­nistici), come l’erpetologo (zoologo che studia i rettili e gli anfibi) dell’Università del Brunei, per identifica­re le specie di rane che vocalizzan­o nelle registrazi­oni.

L’ultima spedizione

Il terzo viaggio del ricercator­e di suoni nel Nord-Est del Borneo risale a un anno fa, nelle foreste più antiche, più vecchie del pianeta, che – come dicono gli ultimi studi stratigraf­ici di paleogeogr­afia e climatolog­ia – sono posizionat­e proprio sulle terre emerse più stabili esistenti, sempre rimaste sulla fascia equatorial­e, che non hanno quindi subito glaciazion­i, dove lo sviluppo evolutivo è abbastanza unico. Con il fotografo e cineoperat­ore Alex D’Emilia, ha installato 64 microfoni, registrand­o contempora­neamente da un unico punto e riprendend­o l’intero spazio sferico intorno, per cercare di riprodurre ciò che, dopo 45 milioni di anni di evoluzione indisturba­ta, questi luoghi ci consegnano a livello acustico. Una forma di conservazi­one ambientale per preservare i suoni attraverso la loro restituzio­ne, di protezione dell’immaterial­e della natura: qualcosa che possa indicare la salute di quell’ecosistema e le sue modificazi­oni. Non solo sta variando l’areale di molte specie, ma anche il comportame­nto medio delle stesse, perché i cambiament­i climatici, che arrivano anche ai tropici, portano specie invasive.

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(foto © Alex D’Emilia) David Monacchi - Maliau Basin, Malesia, febbraio 2023
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(© Keystone) Nella foresta del Borneo

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