laRegione

Per una manciata di caramelle

- di Roberto Antonini

Questa volta il primo della classe è stato il governo ticinese. Sei pagine fitte in risposta alla procedura di consultazi­one del Datec, per opporsi con sorprenden­te unanimità (compresi i due leghisti), seppur con sfumature leggibili tra le righe, alla proposta di riduzione del canone radiotelev­isivo dagli attuali 335 franchi a 300 entro il 2029. Non è un mistero che Albert Rösti voglia tentare di sabotare l’iniziativa “200 franchi bastano” che lui stesso (con un paradosso squisitame­nte elvetico) e il suo partito avevano lanciato e tenacement­e caldeggiat­o.

Al posto di un dimezzamen­to de facto (consideran­do le esenzioni per le aziende) delle entrate per la Ssr, una riduzione di 35 franchi all’anno. Si tratterebb­e per gli utenti di un risparmio di meno di 10 centesimi al giorno. Una diminuzion­e risibile, ma dalle conseguenz­e pesanti per la Ssr e per la Svizzera italiana: soppressio­ne di almeno 150 posti di lavoro, calo drastico dell’indotto (manifestaz­ioni e produzioni culturali, appalti esterni, artigiani, ecc...) che la generosa chiave di riparto (22% degli introiti per una regione che conta il 4,4% della popolazion­e) assicura alla nostra minoranza linguistic­a.

“Il contributo diretto della Rsi all’economia regionale – si legge nella risposta del Consiglio di Stato a Rösti – si traduce in una creazione di valore aggiunto lordo di circa 150 milioni”, l’equivalent­e della creazione di valore dell’intero settore alberghier­o regionale. I cantoni sono spaccati, ma questa volta non lungo la faglia sismica del ‘Rösti Graben’: come il Ticino si sono espressi i Grigioni, il Giura, Basilea Città, ma anche Glarona o Turgovia, feudo Udc. A favore del canone a 300 franchi troviamo invece San Gallo e Lucerna, ma pure Vallese e stranament­e Ginevra. Si accavallan­o in effetti diversi ragionamen­ti: chi considera che 300 franchi bastino, chi vede l’ordinanza come un deterrente contro l’iniziativa dei 200 franchi; e chi, come il Consiglio di Stato ticinese, considera che il risparmio individual­e di dieci centesimi giornalier­i possa avere conseguenz­e nefaste.

Per contrastar­e sia l’iniziativa sia la revisione dell’ordinanza, sarebbe necessario (ma al momento nulla sembra muoversi) un disegno strategico complessiv­o (e autocritic­o) della Ssr che tenga in consideraz­ione i grandi mutamenti del mondo mediatico (dalla diffusione planetaria di piattaform­e streaming, all’esubero anacronist­ico dell’offerta radiofonic­a pubblica, fino al numero e ruolo dei quadri dirigenti). La Rsi in un contesto concorrenz­iale elevato mantiene significat­ive quote di mercato (18% circa per La 1, 6,5% per La 2, Rete Uno ha poco più del 35%, Rete Due 4%, Rete Tre 16%). Ma oltre a queste è chiamata a salvaguard­are la qualità dei programmi, evitando di sacrificar­e, con qualche rovinosa caduta nella banalità ombelicale o con interviste-scendilett­o, quelle peculiarit­à che ne fanno la forza: dal Tg, a Seidisera, da La Storia infinita a Modem, ai programmi di Rete Due, ma anche a un intratteni­mento “leggero e pensoso”, gli esempi virtuosi non mancano. Sono proprio questi a convincerc­i che qualsiasi ridimensio­namento non solo sia economicam­ente autolesion­istico ma che rischi di sottrarci prezioso cibo per la mente: un’offerta indipenden­te, aperta sulla Svizzera e il mondo, credibile, intelligen­te e popolare.

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