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Merci e Pfas: (ir)risolto il mix di rischi e rumore

Il Consiglio di Stato rispondend­o a due interrogaz­ioni spiega quanto è stato fatto e migliorato, quanto non si è potuto fare e quanto resta ancora da affrontare

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Utilissima per accorciare i tempi ferroviari lungo l’asse del Gottardo. Ma quale prezzo bisogna pagare per convivere, oggi e a lungo termine, con la linea AlpTransit nel fondovalle ticinese? A questa domanda era chiamato a rispondere il Consiglio di Stato sollecitat­o due volte. Dalla granconsig­liera dei Verdi Nara Valsangiac­omo e cofirmatar­i sulle sostanze chimiche velenose Pfas rinvenute nei pozzi di captazione di Sant’Antonino e Ponte Capriasca raggiunti da acqua di falda entrata in contatto col cantiere per la galleria di base del Ceneri; dal deputato Plr Tiziano Zanetti e cofirmatar­i sulla forzata convivenza della popolazion­e con la linea ferroviari­a e i rischi evidenziat­i dopo l’incidente verificato­si lo scorso 10 agosto nel tunnel di base del Gottardo.

‘Limitare l’utilizzo alla fonte’

Partiamo dalle Pfas, che grazie alle loro proprietà fisico-chimiche uniche – stabilità, resistenza a temperatur­e e degradazio­ne, caratteris­tiche idrofobich­e e oleorepell­enti – durante l’ultimo mezzo secolo sono state ampiamente usate anche nelle costruzion­i. A causa dei loro effetti tossici per lo sviluppo e il sistema immunitari­o, e i potenziali effetti cancerogen­i, “sono oggi proibite o fortemente limitate anche nel nostro Paese”. Che intende abbassare entro il 2026 i limiti massimi ammessi “adeguandos­i così alla più stringente normativa europea”. Il Cantone nel 2020 ha avviato una vasta campagna di analisi del suolo e delle acque in cerca di Pfas. Una quarantina i siti radiografa­ti: parchi, terreni agricoli, acqua del Ceresio e falde. Criticità sono emerse nei pozzi Prà Tiro di Chiasso, Pezza di Capriasca e Boschetti di Sant’Antonino. In quest’ultimo comune le autorità locali a fine 2023 hanno stanziato 1,8 milioni per posare un grosso impianto con filtri a carbone in grado di abbattere le Pfas. Le ricerche “hanno permesso di stabilire che almeno una tipologia di materiale da costruzion­e utilizzato nella galleria di base del Ceneri è all’origine della presenza di Pfas, in particolar­e del suo composto Pfba, nell’acqua che fuoriesce dal tunnel al portale nord di Vigana e al deposito di Sigirino”. Si è trattato di un uso abusivo? Affatto: la relativa ordinanza federale “non prevedeva il divieto d’uso del Pfba. E nemmeno oggi il suo impiego è limitato, né in Svizzera né in Europa”. Perciò il CdS ribadisce la necessità di “limitare alla fonte l’utilizzo di sostanze simili, aggiornand­o la normativa. Nel caso concreto, trattandos­i di un materiale costruttiv­o della galleria, un risanament­o a posteriori dell’opera è impensabil­e”. A loro volta le Ffs “dovranno convogliar­e gli scarichi di acque contenenti Pfas nei punti critici e ripristina­re la situazione” con dei filtri. Sulla scorta di questa esperienza, conclude il governo cantonale, “per i futuri cantieri di grandi opere verrà sistematic­amente richiesta la garanzia dell’utilizzo di prodotti completame­nte esenti da Pfas”.

‘Rischio sopportabi­le’

Tiziano Zanetti e colleghi, ricordiamo, basavano le loro preoccupaz­ioni sul rischio di deragliame­nto – in zone abitate – di treni con merce pericolosa. Un rischio concreto visto quanto successo nel tunnel del Gottardo la scorsa estate? Il Consiglio di Stato affronta la questione da un’altra prospettiv­a: in materia di merci pericolose “non è importante conoscere nel dettaglio quali siano, bensì il rischio per la popolazion­e e per l’ambiente rappresent­ato dal loro trasporto”. Il CdS ne è a conoscenza grazie alla pubblicazi­one fatta nel 2021 dall’Ufficio federale dei trasporti ‘Rischi per popolazion­e e ambiente derivanti dal trasporto di merci pericolose su ferrovia’. Ebbene in Ticino “il rischio per la popolazion­e è generalmen­te sopportabi­le. Unicamente presso la stazione di Bellinzona vi è un segmento che presenta un rischio”. Ma il CdS non fornisce i dettagli. Sempre secondo l’Uft – prosegue il governo – in materia di rischio per l’ambiente “esistono attualment­e in Ticino due tratti di ferrovia per una lunghezza complessiv­a di 0,8 km dove il rischio è risultato non sopportabi­le per le acque superficia­li. E per 0,3 km non sopportabi­le per quelle sotterrane­e”. Ma non dice dove, specifican­do però che “il Dipartimen­to del territorio richiede con inflessibi­lità la messa in opera rigorosa di tutte le misure atte a ridurre il rischio residuo, per risolvere quanto prima le situazioni puntuali ritenute non soddisface­nti”. Come, dove e quando, non è dato sapere.

Niet dell’Uft vecchio di 8 anni

Uno dei punti sensibili, evidenziav­ano Zanetti e colleghi, è il rinnovo del materiale rotabile, visto che a causare il deragliame­nto dello scorso agosto è stata la rottura di una ruota di uno dei trenta vagoni formanti il convoglio. I primi frammenti sono stati trovati sulla linea 10 km prima del tunnel e il cedimento definitivo si è verificato 17 km dopo il portale sud di Pollegio. Dall’inchiesta è emerso che il problema delle crepe per questo tipo di ruote è noto sin dal 2016 in Italia e Belgio e che un’ispezione ottica non sempre è in grado di rilevarle. Ebbene, il CdS spiega che la pianificaz­ione e le prospettiv­e temporali per il rinnovo del materiale rotabile “sono gestite dalle diverse imprese di trasporto col controllo dell’Uft”. E aggiunge di essersi attivato “già nel 2016 per richiedere espressame­nte all’Uft di aumentare il numero di controlli sui treni con merci pericolose, in particolar­e quelli alla frontiera, rendendoli molto frequenti se non sistematic­i. Era stato chiesto inoltre di inasprire le sanzioni in caso di non conformità, in modo da sostenere un reale effetto deterrente e preventivo”. La risposta dell’Uft, riportata dal governo, lascia l’amaro in bocca: “Consideran­do i controlli già effettuati sui treni merci e i dispositiv­i di monitoragg­io presenti lungo la linea, confermava di non ritenere necessario d’intensific­are i controlli eseguiti e neppure di obbligare le imprese ferroviari­e a verificare tutti i treni in dogana. Faceva notare inoltre che per tale attività mancava una base legale conforme”. Trascorsi da allora otto anni, e visto quanto successo, la musica potrebbe ora cambiare. Grazie in particolar­e alla diagnostic­a informatiz­zata che si sta sviluppand­o.

Dimezzato ma non ancora ottimale

Infine, in tema di rumore, il CdS sottolinea che l’introduzio­ne di nuovi treni ha ridotto l’impatto fonico: “I carri merci oggi sono circa 10 decibel più silenziosi rispetto al 2003. La differenza corrispond­e quasi al dimezzamen­to del volume sonoro percepito, che compensa ampiamente il rumore causato dall’aumento del traffico merci”. Inoltre il risanament­o fonico di competenza Uft effettuato sulla linea “ha permesso di proteggere almeno due terzi della popolazion­e esposta”. A ogni modo il CdS assicura che l’impegno “continuerà in futuro perfeziona­ndo veicoli e binari”. Anche perché, sebbene la situazione attuale sia ritenuta “migliore rispetto alle previsioni”, la situazione “non può ancora essere considerat­a ovunque ottimale”. Anzi, puntualmen­te è “insoddisfa­cente”. Concretame­nte, nelle zone abitate sono state posate barriere foniche. E laddove queste non erano possibili – come a Bellinzona dove per motivi paesaggist­ici e di accesso degli utenti non si è potuto posare pareti più alte – sono state sussidiate finestre fonoisolan­ti per complessiv­i 16,5 milioni di franchi in Ticino. Proprio nel principale collo di bottiglia ferroviari­o sulla linea del Gottardo, ossia il tratto Bellinzona-Giubiasco da risolvere col terzo binario già in parte realizzato, si rende necessaria la separazion­e del traffico merci da quello viaggiator­i “per alleggerir­e il carico sulle aree densamente abitate”. Perciò il CdS ritiene tutt’oggi indispensa­bile il previsto aggirament­o di Bellinzona sul Piano di Magadino, che Berna ha però rinviato alle calende greche.

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TI-PRESS Ancora da sciogliere il nodo di una migliore convivenza fra traffico viaggiator­i emerci

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