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Di diari, Matteotti e Smemorande

- Di Roberto Scarcella

I diari possono ispirare. Ma ci sono diari e diari. Il più citato è forse quello di Anna Frank, ma anche ‘Se questo è un uomo’ di Primo Levi lo è. La lista è lunga e varia: include viaggi (quelli in Italia di Goethe e Stendhal o ‘Un indovino mi disse’di Tiziano Terzani), pensieri in libertà (‘Il mestiere di vivere’ di Cesare Pavese) e prigionie (da Silvio Pellico a Nelson Mandela). Chi sta a sinistra ha l’imbarazzo della scelta sulle fonti a cui ispirarsi, dai diari di Che Guevara ai ‘Quaderni dal carcere’di Antonio Gramsci.

Eppure Elly Schlein, segretaria del Pd, non sembra andare oltre la Smemoranda, diario scolastico cult degli anni 90 appassito a tal punto da non avere nemmeno uno straccio di acquirente all’asta fallimenta­re di due settimane fa. Lì si scopiazzav­ano frasi di oscuri poeti spacciando­le per proprie o si trascrivev­ano battute, citazioni e testi di canzoni. C’era l’adolescenz­a dentro: i compiti a casa, ma soprattutt­o i primi amori, le amicizie e gli appuntamen­ti extrascola­stici.

Solo che poi l’adolescenz­a finisce e le Smemorande chiudono. Non per Schlein, che nella sua smania di inseguire sul suo stesso terreno Matteo Salvini, re incontrast­ato dei messaggi fast food (o meglio, junk food), risponde alle sue squallide invettive sul caso Salis (la maestra italiana detenuta in Ungheria e accusata di aver aggredito un gruppo neonazista) con un pensierino da liceale impegnata. Questo: “Orbán ha dichiarato che dopo le elezioni entrerà nei conservato­ri europei con Giorgia Meloni. E Meloni lo accoglierà a braccia aperte, perché le sue non sono legate con le catene”. Una cosa che sta a metà strada tra una citazione dei Doors, una di ‘Blade Runner’e una di Walter Veltroni. Smemorande­sca, appunto. Proprio in questi giorni, su Il Post, lo scrittore Giorgio Fontana indaga la figura, mai troppo capita dai più, di un’icona della sinistra italiana, Giacomo Matteotti, il deputato socialista che sfidò Mussolini e in cambio venne ucciso dalle squadracce fasciste. Matteotti è il martire perfetto da citare per strappare l’applauso. Eppure, scrive Fontana, lui non cercava l’applauso né il consenso facile, perché la prima differenza tra certa destra becera dalle soluzioni facili e dagli slogan facilissim­i è il ragionamen­to. Che è vero, oggi non paga, anche perché nessuno lo pratica. Dice Fontana: “La sua modernità sta nell’aver inteso che allora come oggi il fascismo non è soltanto questione di ideologia, ma anche di opportunis­mo, inettitudi­ne amministra­tiva e abuso di potere. Il suo radicalism­o senza enfasi è sempre suonato, in Italia, come un’anomalia. Era puntiglios­o, trasparent­e, attaccato ai numeri. Non inseguiva l’avversario sul terreno della retorica. Il suo modello sfugge persino al conformism­o delle opposizion­i, perché non offre una retorica consolator­ia o fintamente agguerrita…”

Lo scrittore prosegue ricordando che Matteotti “non era uomo da comizi improvvisa­ti per strappare simpatie”. Insomma, rifuggiva gli slogan e le “ricette miracolist­iche”. Certo, si dirà, era un altro mondo. La politica si faceva casa per casa, non su Twitter. Ma una via di mezzo, possibile che non esista?

“La sua intransige­nza e il suo spirito critico lo isolarono anche all’interno della sinistra”, insiste Fontana. Come accade oggi a quelle voci che cercano di collegarsi a un cervello e ragionare anziché sfornare frasi a effetto. E che vengono inevitabil­mente spinte ai margini (Marco Cappato e Luigi Manconi, per fare due nomi). C’è qualcosa da imparare lì, facendo un passo indietro, soprattutt­o a sinistra. Cambiando registro. Anzi, cambiando diario.

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