laRegione

Un uomo tutto d’un pezzo (da 90)

- di Roberto Antonini

“Mi raccomando, nessuna beatificaz­ione!” aveva ammonito Nora, quando ci apprestava­mo a scrivere la biografia di suo marito. Una messa in guardia tra il serio e il faceto più che azzeccata: il rischio di smarrire il distacco critico, di scivolare nell’agiografia, di ignorare le ombre, i chiaroscur­i incombe realmente quando si cerca di ripercorre­re la vita e di penetrare nel dedalo di idee, momenti e incontri che hanno segnato l’avventura umana e politica di Pietro Martinelli. La sua figura segaligna, la sua vivida curiosità sembrano comunque sfidare il tempo: oggi non avrà nessun affanno a spegnere le 90 candeline. Forma fisica invidiabil­e, capacità di analisi intatta. Ginnastica mattutina con regolarità calvinista, letture, partecipaz­ione alla vita politica e intellettu­ale.

A un quarto di secolo dalla sua uscita dalla politica attiva (consiglier­e di Stato dal 1987 al 1999), Martinelli continua a suscitare ammirazion­e e non poca nostalgia, non solo nella sua area di riferiment­o, quella di sinistra. Il fondatore del Partito Socialista Autonomo (1969) è visto come un uomo tutto d’un pezzo, capace di conciliare militantis­mo e pragmatism­o, passione e ragione. Pugno alzato sì, ma ben stretta nell’altra mano una macchinett­a calcolatri­ce. Come dire: ideologia sì, demagogia no. Aspetto non del tutto gradito ai più movimentis­ti (Franco Cavalli più che un leader della sinistra radicale vede in lui un “gran commis d’Etat”, figura che rinvia soprattutt­o all’efficienza della macchina statale, molto meno alle barricate). Per i comunisti Doc, come suo cognato Norberto Crivelli, Martinelli era invece un po’ troppo “gauchiste”, figlio più della cultura sessantott­ina che dell’internazio­nale operaia. Vero che non esitava a manifestar­e contro l’invasione sovietica a Praga dopo avere sfilato contro la guerra americana in Vietnam.

Sull’altro fronte, lo storico binomio Pietro Martinelli - Werner Carobbio, aveva provocato qualche mal di pancia a chi intravedev­a in questa costola ribelle uscita dal Pst un pericolo per la serenità, gli affari e la verecondia patria: “I rivoluzion­ari dal conto in banca”, aveva titolato il quotidiano ‘Il Dovere’ un articolo in cui si scagliava contro i “vigliacchi anonimi” che dalle colonne di Politica Nuova (giornale del Psa) si identifica­vano con i loro “caporioni” allo scopo di “abbattere il sistema”. Clima da feroce guerra fredda, con addentella­to il “Berufsverb­ot”: sei di sinistra? Allora non ti diamo un lavoro. Semplice.

A farne le spese in molti tra cui lo stesso Martinelli, che proprio nel giorno del suo compleanno, il 6 febbraio del 1978, prese il volo per Conakry per esercitare la sua profession­e di ingegnere in Africa occidental­e: era questo l’alto prezzo della coerenza. In precedenza, pur essendo stato eletto in Consiglio nazionale, in ossequio alle direttive del partito si era fatto da parte, lasciando il posto al subentrant­e e amicoWerne­r. Sacrificio coraggioso e, alla luce di quanto successo più tardi (elezione di Martinelli in governo nel 1987), vincente: visto dall’osservator­io attuale dove impera una politica basata sulle apparenze e sugli eccessi narcisisti­ci, tutto questo sembra preistoria. Da uomo di Stato, per il suo pragmatism­o e le capacità negoziali, Martinelli ha saputo conquistar­e un’invidiabil­e stima anche tra i suoi antagonist­i politici, in primis la consiglier­a di Stato Marina Masoni con la quale era riuscito a raggiunger­e una sorta di “compromess­o storico” in versione bonsai. Ancora oggi prevale negli interventi pubblici di Martinelli una visione che antepone la riflession­e agli schieramen­ti preconcett­i, la libertà di pensiero alle gabbie ideologich­e. Così, facendo eco alla celebre presa di posizione di Enrico Berlinguer (meglio la Nato del Patto di Varsavia), non esita a ritenere una possibile vittoria russa in Ucraina come un pericolo vitale per il nostro mondo democratic­o. Qualsiasi accenno biografico non può esimersi dal contesto storico. Martinelli ha potuto beneficiar­e di una grande primavera della politica, in cui l’abilità dei tenori non aveva ancora lasciato il posto alla perniciosa banalità dei “social”. Ma ha pure potuto contare su una cerchia di amici, compagni, consiglier­i di grande valore e cultura, da Christian Marazzi a Carla Agustoni, da Flora Ruchat a Virginio Pedroni fino al preziosiss­imo Giovanni Petazzi, senza dimenticar­e naturalmen­te il nome a cui è indissocia­bilmente legato il suo, Werner Carobbio. Nessun testo, forse, ricorda quegli anni di militanza meglio di quello vergato sotto forma di poesia dall’architetto Tita Carloni, apparso a mo’ di commiato nell’ultimo numero della lunga avventura di Politica Nuova: Sa regorduv qui sir in redaziun/che sa taiava giò ul fümm curtell / e i cavii in quatar per una decisiun / se l’articul l’è brütt o se l’è bell? / Al Snozz al disegnava i cupertin;/ al Tognola ga nava mai ben vüna / al Gall e ’l Martinell che i è gent fin / i rimetteva a post i fiöö in la cüna / E ’l Canonica (sü! dai che ’l temp al passa! / al vureva savé se ’l nos partii /l’eva da l’avanguardi­a o da la massa / Fin che a la vüna… o in là ’nca mò ’n quai zicch / dopo vé sistemaa crapp e giurnal / alWerner al vösdava i portacicch. Ricordare quel contesto baciato dalle circostanz­e e dalle persone, senza il quale Martinelli non avrebbe potuto conquistar­e tanto carisma, ci serve – speriamo – a evitare i rischi di santificaz­ione paventati da Norma, sua moglie e compagna di vita: nessun San Pietro, dunque e neppure Pietro il Grande. Ma un uomo tutto d’un pezzo, sì. Da 90.

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