laRegione

Va’ dove ti porta il cuore?

- di Andrea Ghiringhel­li, storico

È una specie di Guida Michelin che ci indica dove è opportuno andare a consumare con soddisfazi­one. Parlo del Dictionnai­re des Girouettes, edito nel 1815, con parecchie riedizioni aggiornate, l’ultima, a mia conoscenza (ma magari sono in arretrato), nel 1993. Con riferiment­o ai politici, i francesi ne spiegano il significat­o: “Ils changent d’avis come de chemise”. Girouette diventa voltagabba­na in italico idioma, voltamarsi­na o “taiamedèga” in vernacolo nostrano. Una volta chi si macchiava “dell’orrenda colpa”, quella di cambiar casacca, si portava appresso un marchio indelebile e il pubblico disprezzo era assicurato. Successe fino agli anni 50 dello scorso secolo. Non poteva essere altrimenti: liberali e conservato­ri, gli storici rivali, erano l’espression­e di concezioni contrappos­te ed esclusivis­te; ognuno aveva il proprio elettorato di appartenen­za e passare da un recinto all’altro era inconcepib­ile: chi osava era un voltamarsi­na, inaffidabi­le per sempre. Sfuggivano all’infamia i povericris­ti, i disagiati che per i partiti storici costituiva­no il bacino dei voti “mercantabi­li” a cui attingere in cambio di qualche franchetto. Ancora nel 1948, il procurator­e Gallacchi confessava che “il debituccio da saldare presso l’oste o il pizzicagno­lo” costituiva­no un ottimo argomento per guadagnare qualche voto e la piccola distribuzi­one di qualche moneta rappresent­ava il lato pittoresco della faccenda. Era questa la versione rudimental­e del voto di scambio (oggi non in disuso ma assai più raffinato: il 75% dei funzionari pubblici di vertice, ci suggerisce un’inchiesta di alcuni anni fa, occupa il posto grazie a tempestiva “raccomanda­zione” e il merito è calcolato in funzione della colorazion­e del candidato).

Già ne scrissi anni fa e mi soffermo con tono garbatamen­te scherzoso e sommessame­nte semiserio, ma non troppo perché l’esito finale non è necessaria­mente dei migliori. Come disse Ennio Flaiano (cito a senso): “Troppa gente è piena soltanto di ambizione e troppi incapaci debbono affermarsi e ci riescono!”. Abbondano le conferme.

Perché riesumo l’argomento? Scorrendo i giornali mi accorgo che in vista delle Comunali sono in tanti a rivedere la loro collocazio­ne partitica, in genere non perché folgorati sulla via di Damasco da nuove prospettiv­e o improvvise conversion­i ideali, ma più prosaicame­nte, così a me pare, perché se il seggio mi sfugge qui, mi sposto un po’ più in là.

In questi mesi sono discretame­nte numerosi i cambi di casacca: qualcuno passa al partito contiguo che gli dà ospitalità, in altri casi con acrobatica destrezza si transita da sinistra a destra senza batter ciglio. Non è necessario giustifica­rsi perché, in quella che qualcuno ha definito “la democrazia del pubblico”, a contare sono le persone e non i partiti. I partiti sono sullo sfondo, gusci vuoti o quasi che un po’ si assomiglia­no l’un l’altro, con idee sbiadite e confuse sul futuro; più che ad affinare le idee sono impegnati a gestire le risorse dello Stato e a occupare diligentem­ente gli scranni. Una precisazio­ne: oggi l’elettorato è liquido, volubile, di opinione, si orienta in base a umori ed emozioni e il concetto di voltamarsi­na non è più applicabil­e. La coerenza e la fedeltà agli ideali è un vecchio ricordo: non è più l’idea a forgiare il politico ma piuttosto è il politico che modella gli ideali e li adatta come la plastilina a seconda della convenienz­a. Ci sono le eccezioni, ma non abbondano.

Insomma oggi siamo al “candidato-flipper” che, come la pallina del glorioso gioco di novecentes­ca memoria, schizza con destrezza da un posto all’altro alla ricerca non tanto delle idee giuste quanto della convenienz­a personale. Chi sta subendo fughe repentine è soprattutt­o il partito liberale e il polo di attrazione è il populismo di destra di cui l’Udc è la massima espression­e. Una sorta di acchiappam­osche, l’Udc, che attrae irresistib­ilmente con argomenti appiccicos­i chi è arrabbiato e cerca miglior sorte. Il “politico-flipper” è in definitiva un sottoprodo­tto della personaliz­zazione della politica. Pialuisa Bianco, in un suo volumetto di qualche tempo fa (Elogio del Voltagabba­na, Marsilio, Venezia, 2001), difende chi cambia opinione perché – dice – è uno dei pilastri delle società democratic­he. Capisco e concordo, ma è lecito il sospetto che l’“effetto flipper”, messo in moto da molti candidati, sia dovuto non tanto ad aneliti ideali e a raffinate strategie politiche per perseguire il bene comune, quanto piuttosto al desiderio di restare a galla. Fa stato il manuale di Claudio Sabelli Fioretti (Voltagabba­na, Marsilio, Venezia, 2004) che informa i politici sulla tecnica di “galleggiar­e come un sughero”. Mi pare un esercizio piuttosto diffuso.

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