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La vera notizia per il cinema femminile

‘Anatomia di una caduta’ di Justine Triet, in corsa agli Oscar, non è solo un legal thriller, ma un processo all’idea di coppia tradiziona­le

- di Daniele Manusia

Insomma Greta Gerwig e Margot Robbie sono state snobbate dall’Academy? Sarà mica perverso revanscism­o maschilist­a il fatto che Barbie ha avuto “solo” otto nomination ai prossimi Oscar (senza, appunto, quelle per la regia e per la miglior attrice protagonis­ta) e invece Ryan Gosling, nel ruolo del maschio bianco fragile e tossico, la sua candidatur­a l’ha avuta?

Nelle pieghe della polemica su ‘Barbie’ si è persa quella che forse era la vera bella notizia per il mondo del cinema femminile, ovvero le cinque nomination di ‘Anatomia di una caduta’: miglior film, miglior sceneggiat­ura originale, miglior montaggio e, certo, miglior regia ( Justine Triet) e migliore attrice protagonis­ta (Sandra Hüller). Anatomia di una caduta, già Palma d’Oro, è uno dei rari film non americani a entrare nella cinquina per il miglior film (l’ultimo a farcela era stato ‘Parasite’, nel 2020, che poi ha anche vinto). Non era stato presentato dalla Francia nella sezione internazio­nale probabilme­nte proprio a causa del discorso di ringraziam­ento tenuto da Triet al Festival di Cannes, in cui aveva contestato “l’approccio neoliberal­e” del governo francese nei confronti della cultura e la repression­e delle proteste per la riforme delle pensioni. A Macron e alla sua ministra della cultura ovviamente il discorso non era piaciuto. Non solo la candidatur­a agli Oscar, come i premi ai Golden Globe, è una grande vittoria per Triet – una donna colpevole del reato per cui le donne sono da sempre punite in quasi tutte le culture: parlare troppo liberament­e – ma è interessan­te anche perché ‘Anatomia di una caduta’ è un film che, in fin dei conti, parla di questa stessa cosa, smontando e mettendoci davanti alcune storture dovute a pregiudizi di genere ancora molto attuali. La protagonis­ta, Sandra, è una scrittrice di successo libera e creativa. Nella primissima scena una ricercatri­ce la sta intervista­ndo nel salotto dello chalet di montagna in cui vive, ma viene interrotta dalla musica che il marito Samuel suona a volume altissimo dal piano di sopra. Freudianam­ente potremmo dire che l’uomo, come una specie di super-io che non vediamo neanche, mette a tacere le donne. La musica in questione, come se il messaggio non fosse abbastanza esplicito, è una versione strumental­e di ‘P.I.M.P.’, canzone ultramachi­sta di 50 Cent.

La caduta del titolo è proprio quella del marito di Sandra, caduta prima simbolica e poi letterale. Il processo in cui Sandra è la principale accusata, e il figlio non vedente principale testimone (incapace quanto il pubblico di affermare con certezza quale sia la verità), diventa una specie di processo al genere femminile, colpevole di aver depresso, se non proprio spinto giù dalla finestra del terzo piano, il modello tradiziona­le di maschio padre di famiglia.

Il ribaltamen­to dei ruoli è evidente fin dall’inizio ma, via via che il processo per la morte quanto meno sospetta di Samuel va avanti, si approfondi­sce. Capiamo che il marito si occupava quasi tutto il tempo del figlio non vedente, a cui aveva deciso di fare da professore a casa. L’incomprens­ione tra i due era totale: lui francese, lei tedesca, tra di loro parlavano in inglese. Samuel anche era uno scrittore, ma frustrato, fallito, a cui oltretutto Sandra aveva preso in prestito un espediente narrativo per costruirci sopra uno dei suoi best-seller. Bisessuale, Sandra lo aveva tradito con altre donne e – forse la colpa peggiore di tutte – non si sentiva in colpa.

‘Anatomia di una caduta’ viene considerat­o un legal thriller ma anche se il processo occupa molto spazio e la questione “chi è stato” rimane centrale ( Justine Triet dice di essersi ispirata al caso di Amanda Knox) non c’è solo questo. Quello che vediamo è soprattutt­o il processo all’idea di coppia per come lo conosciamo, fatto di obblighi e compromess­i reciproci. Scopriamo che Samuel in realtà ci si era messo da solo in quell’angolo in cui si era ritrovato, che erano state le sue scelte e il suo carattere a portarlo alla disperazio­ne. Non Sandra. O meglio, come in tutte le coppie: non solo Sandra. Se ascoltassi­mo le litigate di qualsiasi altra coppia, se interpreta­ssimo le mancanze e i rancori presenti in ogni rapporto come si fa in ‘Anatomia di una caduta’ probabilme­nte arriveremm­o a pensare che siamo tutti un po’ gli assassini dei nostri congiunti.

Il problema, in questo caso, è che la vittima è l’uomo. Anche perché sono secoli che le donne rinunciano alla propria identità e alle proprie aspirazion­i per crescere i figli e per facilitare le carriere dei mariti. Il processo subito da Sandra non potrebbe esistere per Samuel. Più in profondità, Sandra è colpevole di due cose imperdonab­ili nella nostra società. Di essere rimasta fredda e impietosa davanti alle sofferenze del marito, di non averlo considerat­o una vittima, un malato da assistere, un altro ruolo tradiziona­lmente femminile. E poi di essere troppo sincera. Di parlare. Di interrompe­re l’avvocato dell’accusa, di mettere in questione il prisma paternalis­ta e patriarcal­e attraverso cui la osserviamo. Sandra, proprio come Justine Triet nella vera vita, avrebbe fatto meglio a farsi furba, a tenere la bocca chiusa e a sorridere (anche a costo di finire in galera).

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LES FILMS PELLÉAS/LES FILMS DE PIERRE La caduta, prima simbolica e poi letterale, dell’uomo
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KEYSTONE Il film ha già conquistat­o due GoldenGlob­e

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