laRegione

Giustizia, l’immobile Rfo

- di Andrea Manna

Sullo stabile Efg – diventato nel giro di una manciata di minuti stabileRfo, acronimo non di una banca, quale è la proprietar­ia attuale dell’imponente immobile, bensì di Referendum finanziari­o obbligator­io – la vera partita comincia adesso, in vista della chiamata alle urne dei cittadini. Saranno loro a decidere in via definitiva il destino di quello che negli intenti del governo e della maggioranz­a del parlamento dovrebbe essere a Lugano il fulcro della ‘Cittadella della giustizia’, progetto che, inclusa la prospettat­a ristruttur­azione del vicino Palazzo di giustizia, da tempo in condizioni precarie, mira a conferire una sede confacente alla Magistratu­ra. Ieri sera il Gran Consiglio pur dando luce verde ai 76 milioni per l’acquisto dello stabile Efg ha deciso infine per l’Rfo. Niente referendum facoltativ­o, dunque. Il dossier viene sottoposto direttamen­te a tutti gli aventi diritto di voto tramite il Referendum finanziari­o obbligator­io, strumento di recente introduzio­ne in Ticino che, se da un lato consente di coinvolger­e il popolo sovrano, senza passare dalla tradiziona­le raccolta di firme, su spese/investimen­ti di importo rilevante, dall’altro deresponsa­bilizza di fatto il legislativ­o, con deputati che subito dopo essersi espressi a favore di un credito approvano l’Rfo. Ma così è.

E allora i sostenitor­i dell’acquisto dello stabile Efg dovranno avere solidi argomenti per convincere i cittadini con diritto di voto, e dell’intero cantone, della bontà della spesa/investimen­to. Dell’utilità di quei 76 milioni. Dovranno spiegare e ribadire che non esistono piani B. Dovranno riuscire a fugare i legittimi dubbi sull’opportunit­à della prevista presenza sotto lo stesso tetto, quello dell’immobile Efg, del Tribunale penale cantonale, autorità giudicante di primo grado, e della Corte d’appello e di revisione penale, istanza di secondo grado. Dovranno riuscire a convincere della spesa/investimen­to coloro che più che al decoro degli uffici giudiziari tengono alla celerità delle risposte della Magistratu­ra e alla qualità di decreti e sentenze. Insomma, l’impresa si preannunci­a impegnativ­a. Soprattutt­o per la somma in ballo, 76 milioni. Soprattutt­o quando si profila una manovra governativ­a bis di risparmi nel sociale per conseguire l’agognato pareggio dei conti del Cantone.

Appare comunque inconcepib­ile che in tutti questi anni, anche quando le finanze pubbliche non andavano male, lo Stato e la politica non siano stati in grado di assicurare una sistemazio­ne idonea. Quello della logistica è stato il Leitmotiv dei discorsi di insediamen­to e di bilancio di diversi presidenti del Tribunale d’appello, delle relazioni del Consiglio della magistratu­ra, di interviste. Come quella concessa alla ‘Regione’ nel giugno 2018 dall’allora procurator­e generale John Noseda, qualche giorno prima di andare in pensione, a proposito del Palazzo di giustizia di via Pretorio a Lugano: “Qui sono entrato per la prima volta come magistrato il 2 gennaio 1973 e mi dissero: ‘È una sede provvisori­a’. La sede non è cambiata. Ci sono problemi di spazio. E di sicurezza. I colleghi magistrati di altri Paesi sono sempre rimasti sorpresi: ‘Perché la vetrata del tuo ufficio non è blindata?’”. Così come appare inconcepib­ile che lo Stato e la politica ancora non attribuisc­ano, e anche questo sarebbe un investimen­to, rinforzi (magistrati) a quelle autorità giudiziari­e oggi in affanno per l’elevata quantità di incarti da smaltire e per nuovi compiti da eseguire derivanti da modifiche legislativ­e. Governo e Gran Consiglio dovrebbero forse riattivare la riforma ‘Giustizia 2018’. Stavolta però con obiettivi chiari. E da realizzare.

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