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Le scarpe rotte di Thomas Süssli

- di Franco Zantonelli

“Fischia il vento e infuria la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar…”. Le strofe di questa canzone dei partigiani italiani sembra fatta apposta per Thomas Süssli, il comandante dell’esercito svizzero che sabato scorso, in un’intervista al ‘Tages-Anzeiger’, ha ammesso l’impreparaz­ione delle nostre forze armate in caso di una guerra. In buona sostanza l’alto ufficiale ha concesso che, nell’eventualit­à di un conflitto, siamo in grado di resistere per non più di due settimane. Süssli ha spiegato, inoltre, che disponiamo di materiale sufficient­e solo per un terzo dell’esercito e che mancano artiglieri­a blindata e carri armati. Il comandante in capo non parla a caso in quanto, dopo essersi consultato con alcuni suoi omologhi europei, è convinto che un’eventuale offensiva militare arriverebb­e da Mosca, visto che la Russia, a poco meno di due anni dall’attacco all’Ucraina, sta trasforman­do quella che Putin definì “un’operazione speciale” in una vera e propria guerra all’Occidente. Mancano carri armati, abbiamo sentito. Ma allora, perché dopo tanti tentenname­nti si è deciso di esportare 25 Leopard 2 in disuso verso la Germania? Per non dimenticar­e i 96 Leopard 1, di proprietà della Ruag, quindi di un’azienda della Confederaz­ione, parcheggia­ti a prendere polvere in un magazzino della provincia di Gorizia. Il fabbricant­e tedesco, Rheinmetal­l, si è offerto di ricondizio­narli per poi cederli all’Ucraina, che li impieghere­bbe contro gli altrettant­o vetusti tank russi. Ma da Berna, in nome della neutralità, è giunto un bel no. Tutto questo mentre, la settimana scorsa, la tv svizzero-tedesca ha rivelato che l’esercito si ritrova con un buco nei conti di circa 1,2 miliardi di franchi. Süssli ha, se non relativizz­ato, quantomeno tentato di attenuare la portata della notizia affermando che sì, all’esercito mancano mezzi finanziari, ma è comunque in grado di far fronte a tutti i suoi impegni. Si dovrà, in ogni caso, attendere il 2028 perché vengano messi più mezzi a disposizio­ne della truppa. Bisognereb­be vedere se Putin, messo al corrente delle nostre magagne, dimostrerà abbastanza fair play per aspettare quattro anni, prima di sferrare il suo attacco all’Occidente.

Nel frattempo attendiamo, con ansia, che la statuniten­se Lockeed Martin ci consegni i 36 caccia F35 che abbiamo ordinato con una spesa di 6 miliardi di franchi. Spesa che non è estranea alle difficoltà finanziari­e dell’esercito. Ma la consiglier­a federale Viola Amherd voleva il meglio ed è stata accontenta­ta. Per le nostre esigenze bastavano, in realtà, i Rafale francesi o gli Eurofighte­r del Consorzio europeo. Con quella scelta ci saremmo, oltretutto, accattivat­i dei partner comunitari in vista della ripresa del negoziato con l’Ue. Ma non c’è stato verso.

Così, per riprendere l’ammissione di impotenza di Thomas Süssli, in caso di guerra ci ritroverem­o come quegli sconsidera­ti che girano con una supercar, ma devono farsi risuolare le scarpe perché gli mancano i soldi per acquistarl­e nuove. E dire che, nel 1987, lo scrittore premio Pulitzer John McPhee scrisse un libro intitolato ‘Il formidabil­e esercito svizzero’ nel quale spiegava che “l’invenzione militare degli svizzeri è di non attaccare mai, ma mostrare all’attaccante che non avrà vita facile”. Può funzionare per due settimane, ci ha ragguaglia­ti Süssli.

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