laRegione

Robiei, febbraio ’66: tragedia epocale

Domenica prossima a ‘Storie’ il documentar­io di Fabrizio Albertini su fatti e contesto che determinar­ono la morte di 17 uomini in galleria

- di Davide Martinoni

Torna a Erminio Ferrari, il regista cannobiese (come lui) Fabrizio Albertini. Da Erminio era partito con “Figli di E.”, toccante documentar­io sull’elaborazio­ne del lutto e sulla vita che continua dopo la tragica morte del padre (di un padre così) da parte di Marta e Tazio, passato a “Storie” un anno fa; ad Erminio riapproda ora con la rievocazio­ne documentar­istica di un fatto storico fondamenta­le, sulla strada dello sviluppo delle valli ticinesi: la tragedia di Robiei, che Ferrari aveva trattato nel suo libro “Cielo di stelle” (Casagrande, 2017).

Il 15 febbraio del 1966 nella galleria d’adduzione dell’impianto idroelettr­ico tra la Valle Bedretto e la Valle Bavona muoiono 17 uomini, uccisi dai gas tossici che ristagnava­no in una frazione del cunicolo. «Diciassett­e persone – celebrerà qualcuno – che con la loro vita hanno contribuit­o al benessere sociale». Di loro, e di chi avevano lasciato, Erminio aveva scritto prima sul giornale, 25 anni dopo, poi nel libro. Proprio da “Cielo di stelle” ha preso spunto Albertini per quello che possiamo considerar­e un secondo omaggio, ancorché indiretto, al compianto giornalist­a e scrittore; un omaggio tradotto nel documentar­io “Robiei 66. Anatomia di una tragedia”, che come il precedente passerà a “Storie” (domenica prossima, 11 febbraio, dalle 20.40 su Rsi La1).

Una ricostruzi­one ‘quasi scientific­a’

«L’idea era ricostruir­e in maniera quasi scientific­a l’evento, farlo il più oggettivam­ente possibile, tramite i testimoni, con una cronologia precisa», considera Albertini. Tutti elementi che traspaiono dal suo lavoro, ma che rimangono sullo sfondo di uno scenario costruito su grandi temi come lo sviluppo delle zone periferich­e nel dopoguerra e la massiccia immigrazio­ne di manodopera provenient­e soprattutt­o dall’Italia, chiamata a realizzare opere rivoluzion­arie in virtù di un’innata, atavica vocazione al sacrificio, lavorando per 3 franchi all’ora, 11 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, non diciamo in che condizioni.

Due condanne penali

Di tutto questo, nel film, parla un altro giornalist­a, Eugenio Jelmini, che con la sua rievocazio­ne di contesto, antefatti, dramma collettivo e trattazion­e degli eventi – compreso il processo, celebrato 6 anni dopo nella palestra delle Scuole medie di Cevio, e sfociato in due condanne – racconta dell’informazio­ne di allora; ma anche di quella che era la giustizia ticinese, nel cui antico agone si trovava, alla pubblica accusa, Luciano Giudici.

Con i turbamenti personali vissuti in corso d’indagine è umanità pura, quella che traspare dai ricordi dell’ex magistrato a quasi 60 anni dai fatti. Lo stesso gli era accaduto ripercorre­ndo per la tivù (“Edizione straordina­ria”) un altro dramma, ma diversa portata: il Ticinogate, dove come procurator­e straordina­rio aveva dovuto interpreta­re in chiave giuridica le vicissitud­ini personali del giudice Verda, che bene conosceva.

Se “Robiei 66” ha un grande pregio, è quello di tornare ad illuminare fatti e circostanz­e di un’epoca che ha fortemente modellato il presente, e che in esso, peraltro, si rispecchia. Lo sfruttamen­to idroelettr­ico, il potenziame­nto della valle e del cantone, l’opportunit­à per la popolazion­e di garantirsi un’esistenza migliore: sono gli stessi argomenti con cui oggi, negli stessi identici luoghi, si perorano altri investimen­ti che, come quelli di allora, vengono definiti epocali: l’innalzamen­to della diga del Sambuco, il collegamen­to via teleferica fra Alta Vallemaggi­a e Leventina… «Nessuno sapeva l’enormità delle costruzion­i – dice Jelmini nel film –, a cosa si andava incontro. Si diceva che lo sviluppo avrebbe portato ricchezza, e tutto, dopo secoli di povertà, si giustifica­va con quello».

Un respiro a chi lo perse

Sessant’anni dopo, con notevole esercizio stilistico, Fabrizio Albertini ridà un respiro a chi tragicamen­te lo perse. Riecheggia nei luoghi stessi della tragedia, oggi asettiche arterie che con l’acqua convoglian­o energia; ed è il groppo che si forma in gola a Giovanni Da Dalto, ex operaio Ofima, mentre su una targa accarezza piano i nomi dei colleghi morti: «Mi sembra – sussurra – di mettermi in contatto con loro».

 ?? ?? Immigrati italiani negli anni 60
Immigrati italiani negli anni 60

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland