laRegione

(13esima) Avs, prendere o lasciare

- di Stefano Guerra

Nonni che non possono più portare i nipotini allo zoo. Anziani costretti a rinunciare a caffè e giornale al bar. Una pensionata che non riempie più il tank della nafta, ridotta a scaldare la sua casa con delle stufette. Sindacati, sinistra e Lega intonano il pietistico mantra degli anziani poveri/poveri anziani. Suggerisco­no che la povertà, nella terza e quarta età, sia un fenomeno diffuso. Che toccherebb­e ormai anche chi si è sempre sentito parte del rassicuran­te ceto medio.

Non sono pochi in effetti i pensionati costretti a tirare la cinghia. Ma sono pur sempre una netta minoranza dei 2,5 milioni di beneficiar­i Avs. Dovremmo scandalizz­arci, quindi, per i miliardi che ogni anno verrebbero distribuit­i “a innaffiato­io”, cioè anche a quell’ampia maggioranz­a di anziani che potrebbero più o meno tranquilla­mente farne a meno? L’Avs è una potente macchina ridistribu­tiva. Le rendite sono ‘plafonate’, i contributi – proporzion­ali al salario – no. E così un milionario versa nel primo pilastro molto più degli altri; senza per questo ricevere in cambio, da pensionato, una rendita superiore alla ‘massima’ (che è solo il doppio della ‘minima’). Viceversa, chi guadagna poco riceverà più (spesso molto di più) di quanto ha versato. La 13esima Avs rafforza questa solidariet­à tra ricchi e poveri. Sì: per permettere a un nonno di tornare allo zoo coi nipotini, bisogna che persino un Christoph Blocher intaschi poche centinaia di franchi in più almese. Questa è l’Avs: prendere o lasciare. O dovremmo indignarci per il fatto che sarebbero i ‘giovani’ a vedersi recapitata la fattura di questo presunto regalo? L’Avs si fonda anche su un patto generazion­ale: chi lavora paga le rendite di chi è in pensione. La 13esima Avs rafforza questa solidariet­à tra ‘giovani’ e anziani. Sì: per finanziarl­a, i lavoratori dovranno verosimilm­ente rinunciare a una ventina di franchi al mese in media in busta paga; salvo poi riceverne in cambio, una volta in pensione, otto volte tanto in rendita. Anche questa è l’Avs: prendere o lasciare. Nessuno nega che – alla luce della realtà demografic­a – le prospettiv­e finanziari­e per il primo pilastro e le casse della Confederaz­ione possano apparire piuttosto fosche, figuriamoc­i se appesantit­e dal miliardari­o fardello. Ma da qui a decretare la “rovina” dell’Avs, ce ne passa.

Di certo ora c’è solo che tra pochi anni – 13esima o no – servirà un’iniezione finanziari­a. Ed è fuor di dubbio che se l’iniziativa verrà accolta, la prossima riforma (nel 2026) dovrà essere ancor più incisiva. Per il resto, però, tutto è aperto. A partire dalle ‘leve’ da azionare per far sì che le casse dell’Avs si mantengano sane oltre il 2030. Il mix potrebbe anche comprender­e – perché no? – una microtassa sulle macrotrans­azioni finanziari­e (l’ha evocata il ‘senatore’ del Centro Beat Rieder, non chi ancora pretende di superare il capitalism­o), oppure un flessibile e differenzi­ato aumento dell’età di pensioname­nto. Non sarà la ‘realtà demografic­a’ a dettare legge, ma le maggioranz­e politiche. A formarle saranno gli stessi che preferisco­no rimpinguar­e il budget dell’esercito, anziché far saltar fuori una somma identica per una 13esima Avs? Gli stessi che passano volentieri sotto silenzio il fatto che le rendite del secondo pilastro sono da tempo in caduta libera? Gli stessi che, dopo aver scartato un controprog­etto, adesso strombazza­no ai quattro venti promesse sull’aumento delle prestazion­i complement­ari (Pc) o delle rendite minime Avs, fingendo di non essere stati loro a volere che dal primo gennaio a decine di migliaia di anziani in difficoltà venissero ridotte o addirittur­a cancellate le Pc?

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