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Dieci, cento, mille italianità elvetiche

Un volume curato da Marco Marcacci, Nelly Valsangiac­omo e Rosita Fibbi racconta la complessit­à dell’italiano in Svizzera: una questione non solo linguistic­a

- di Ivo Silvestro

Si è parlato di lingua italiana, alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano. Ma non solo perché una cosa chiara a tutti i relatori della serata è che, quando si parla di lingua, in realtà si parla d’altro: di identità sociale e culturale, di politica, di formazione, di immigrazio­ne. Ad affermarlo esplicitam­ente, in apertura del suo intervento, lo storico Marco Marcacci, curatore, insieme a Nelly Valsangiac­omo e Rosita Fibbi, del volume ‘Italianità plurale: analisi e prospettiv­e elvetiche’ (Dadò 2023) dal quale è partita la discussion­e. Marcacci è partito da una citazione di Gramsci – “ogni volta che affiora, in un modo o nell’altro, la quistione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi” – che ha interpreta­to come una sorta di relativizz­azione del problema linguistic­o: non nel senso che sia trascurabi­le quale lingua è parlata da una parte della popolazion­e, ma nel senso che guardare a quella lingua non è un discorso solo linguistic­o, ma apre il discorso a una moltitudin­e di aspetti. Aspetti che, chi vuole affrontare la “questione linguistic­a” deve avere il coraggio di affrontare. Durante la serata si è infatti parlato di politica culturale cantonale e federale, di come poche scuole in Svizzera prevedano l’italiano nonostante le raccomanda­zioni della Cdpe (Conferenza delle direttrici e dei direttori cantonali della pubblica educazione), della incerta situazione delle cattedre di italianist­ica nelle università svizzere, di immigrazio­ne italiana, di come sia cambiata la situazione sociale ed economica di chi era arrivato negli anni Quaranta e Cinquanta, del confronto con ondate migratorie più recenti; e anche – ne ha parlato in particolar­e la consiglier­a di Stato Marina Carobbio Guscetti – del progetto di riduzione del canone radiotelev­isivo, indebolend­o il contributo che il servizio pubblico può offrire alla comunità italofona.

Ammesso che parlare di “comunità italofona” al singolare abbia senso. Perché lo scopo del libro è appunto quello di valorizzar­e le tante dimensioni dell’italianità. Innanzitut­to, perché – l’ha ricordato il presidente dell’Associazio­ne Biblioteca Salita dei Frati Aurelio Sargenti – a fianco di una Svizzera italiana dai confini relativame­nte stabili c’è una parte importante della popolazion­e svizzera che parla o comunque comprende l’italiano: oltre il 40 per cento degli abitanti ha una conoscenza almeno superficia­lmente dell’italiano e in ben cinque cantoni (Zurigo, Argovia, Basilea Città, Ginevra e Glarona) la percentual­e di italofoni è superiore al 5 per cento.

La lingua italiana in Svizzera – riprendiam­o l’efficace metafora utilizzata da Pietro Montorfani, responsabi­le della Biblioteca Salita dei Frati – non è un monolite opaco, ma un prisma che cambia colore a seconda di come lo si guarda. E il volume pubblicato da Dadò presenta alcuni di questi colori, attraverso una quarantina di brevi contributi – sempre Marcacci ha sottolinea­to come sia stato difficile contenere la verbosità di alcuni autori o autrici, senza tuttavia fare nomi – raccolto in cinque capitoli: Politica linguistic­a, Cultura, Identità, Associazio­nismo e Immigrazio­ne. Già l’indice del libro dà un’idea della vitalità della lingua italiana in Svizzera e della sua importanza quale strumento di coesione sociale oltre che come veicolo di espression­e culturale e identitari­a.

La pubblicazi­one del libro è promossa da Coscienza Svizzera che con questo volume prosegue il lavoro di indagine sull’italianità in corso da diversi anni. Come ha spiegato il presidente Verio Pini, Coscienza Svizzera «ha cercato di accompagna­re questa riscoperta dell’italianità, in particolar­e Oltralpe, sottolinea­ndo un dato che forse non a tutti piace sentire perché evidenteme­nte ha anche delle implicazio­ni sul piano finanziari­o e istituzion­ale: l’equilibrio dell’italianità non è più quello di vent’anni fa, è un equilibrio in cui la componente di italianità, nella sua complessit­à, è più importante a Nord delle Alpi che nella Svizzera italiana». “Complessit­à” è indubbiame­nte stata una delle parole chiave della serata (e del libro presentato). Ma, al netto della varietà di esperienze e di punti di vista, Marcacci ha voluto sottolinea­re come – nel complesso e al di là di alcune criticità come l’insegnamen­to dell’italiano nelle scuole in Svizzera tedesca e romanda – «la situazione mi sembra meno grave di quello che si potrebbe pensare guardando a certe analisi sul declino dell’italiano: non dobbiamo pensare che ci sia stata un’età dell’oro dell’italiano in Svizzera». Aggiungend­o che, se c’è una lingua minacciata è «il buon tedesco, minacciato dallo svizzero-tedesco».

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Presentato giovedì scorso alla Biblioteca Salita dei Frati

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