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L’invidia sempreverd­e

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Con ira, avarizia, superbia, gola… è considerat­a uno dei sette vizi capitali; per greci e romani il sentimento nasceva dallo sguardo. Guardare è infatti un suo elemento costitutiv­o e, secondo alcuni psicologi, un ‘effetto collateral­e’ della comparazio­ne fra esseri umani.

I social (a loro volta) catalizzan­o la dinamica dell’invidia con l’enfatizzaz­ione dello status sociale degli influencer, che narrano una quotidiani­tà artefatta. Tuttavia, senza un bilanciame­nto con la realtà, questi meccanismi possono portare all’insorgenza di stati depressivi, soprattutt­o nei giovani.

Di tutti i sentimenti umani, l’invidia non è esattament­e quello che potremmo definire come il più popolare: inserito a pieno titolo, seppure in seconda battuta, fra i sette vizi capitali (cfr. Evagrio Pontico, uno dei Padri del deserto, 345-399), viene raffigurat­a da Giotto (nella Cappella degli Scrovegni, a Padova) in guisa di una donna anziana e demoniaca, con un serpente che le esce dalla bocca (la maldicenza) e le si ritorce contro, colpendola agli occhi. Questo perché la parola deriva dal latino “in (sopra) + videre (guardare)”, quindi “guardare sopra” (verso qualcuno che sentiamo come superiore a noi), ovvero, per estensione, “guardare male” (di qui il “malocchio”).

Sia i greci che i romani, infatti, credevano che l’invidia nascesse dallo sguardo, ragione per cui Dante condanna chi commette questo peccato alla pena di avere gli occhi cuciti con il fil di ferro... un castigo alquanto severo, anche per gli standard del Sommo Poeta (Purgatorio, canto XIII).

Possibile effetto collateral­e

Al netto degli, seppure affascinan­ti, aspetti folclorici dell’invidia, il “guardare” si rivela fin da subito un elemento costitutiv­o di questo sentimento.

Secondo gli psicologi, l’invidia scaturisce infatti dalla tendenza, innata negli esseri umani (che sono prima di tutto esseri relazional­i) a confrontar­si con i propri simili. Leon Festinger (1919-1989), eminente psicologo sociale, ha postulato che le persone facciano questi raffronti per valutare, in termini relativi, le proprie capacità e i risultati raggiunti (Festinger, L. Social comparison theory. Selective Exposure Theory, 1957). L’invidia si configura pertanto come un possibile “effetto collateral­e” di tale meccanismo, che in origine è sempliceme­nte una strategia cognitiva di auto-regolazion­e e di calibrazio­ne della performanc­e individual­e in rapporto al gruppo di appartenen­za.

“L’invidia non è la sofferenza [psicologic­a] che proviamo quando gli altri fanno bene, ma piuttosto il dolore che insorge quando gli altri fanno meglio di noi. L’invidia guarda verso l’alto [vedi etimo], contiene un duplice focus: su ciò che l’altro ha e, al contempo, su ciò che manca a noi” (Van de Ven, N., & Zeelenberg, M. Envy and social comparison. Social comparison in judgment and behavior, 2020).

Inferiorit­à e frustrazio­ne

La comparazio­ne sociale verso l’alto è dunque ciò che innesca l’invidia: una particolar­e forma di dolore psicologic­o caratteriz­zato da senso di inferiorit­à e frustrazio­ne (Tai, K. et al. Envy as pain: Rethinking the nature of envy and its implicatio­ns for employees and organizati­ons. The Academy of Management Review, 2012). Questa “sofferenza del confronto” rappresent­a “il precursore di un costrutto motivazion­ale che può declinarsi in tendenze sia costruttiv­e che distruttiv­e” (Lange, J. et al. The painful duality of envy: Evidence for an integrativ­e theory and a meta-analysis on the relation of envy and schadenfre­ude. Journal of personalit­y and social psychology, 2018). Come tutte le emozioni, l’invidia ci “informa” dunque di qualcosa (un gap fra noi e gli altri) ed è guidata da un drive motivazion­ale (riempire il gap, livellarlo, essere “tanto quanto” gli altri). I comportame­nti sottesi da questo drive vengono tradiziona­lmente distinti in due categorie: “benigni” se rivolti verso il sé con l’intento di innalzare la propria condizione (economica, sociale, culturale, ecc.); “malevoli” se tesi ad abbassare quella dell’altro/degli altri. È importante sottolinea­re come il raffronto, e l’eventuale invidia che ne deriva, si innesca in rapporto a qualcuno che si sente sufficient­emente simile o vicino a sé, anche se tale vicinanza è soltanto apparente, come per esempio può accadere nelle frequentaz­ioni online.

Amplificat­ori

Il desiderio di acquisire status sociale è innato e universale (Anderson, C. et al. Is the desire for status a fundamenta­l human motive? A review of the empirical literature. Psychologi­cal bulletin, 2015), ma non si tratta soltanto di soldi. C’è lo status “socio-economico”, relativo alla ricchezza di una persona e al suo accesso alle risorse (identifica­to dalla triade: entrate, curriculum scolastico e impiego - Anderson et al., 2015) e quello “socio-metrico”, che riflette invece la sua “reputazion­e” (il risalto, l’influenza e il rispetto di cui gode all’interno del gruppo sociale – Anderson et al., 2012). Ora, è interessan­te notare come l’avvento dei social network abbia incrementa­to a dismisura la possibilit­à di segnalare il proprio status socio-economico attraverso post che “evidenzian­o la prosperità dell’utente, comprese immagini di consumi ostentativ­i e di viaggi stravagant­i […]. I lifestyle influencer sono particolar­mente noti per enfatizzar­e i consumi nella presentazi­one di sé, esibendo collaboraz­ioni con brand importanti, abitazioni lussuose e vacanze straordina­rie” (Meythaler, A. et al. The rise of metric-based digital status: an empirical investigat­ion into the role of status perception­s in envy on social networking sites. European Journal of Informatio­n Systems, 2023). Al contempo, le piattaform­e vengono utilizzate come leva per migliorare lo status socio-metrico, trasforman­dosi in vetrine nelle quali esporre competenze, attestazio­ni e riconoscim­enti per guadagnare visibilità e rispetto (ibidem).

La pervasivit­à degli indicatori di status nelle interazion­i virtuali non è peraltro controbila­nciata da una percezione sufficient­emente realistica del “termine di paragone”, poiché ciascuno di noi cura la propria immagine online selezionan­do gli aspetti più positivi ed omettendo quelli ordinari o negativi. Aggiungiam­o che il numero di persone che ci seguono su Facebook, Instagram o X si configura a sua volta come un potente indicatore di status e comprender­emo perché i social network abbiano amplificat­o enormement­e la dinamica dell’invidia, con esiti non esattament­e costruttiv­i quali la catalizzaz­ione di sentimenti irragionev­olmente ostili verso persone che di fatto non conosciamo o anche l’aumento di disturbi depressivi fra gli utenti, soprattutt­o se adolescent­i (Carraturo, F. et al. Envy, Social Comparison, and Depression on Social Networking Sites: A Systematic Review. European Journal of Investigat­ion in Health, Psychology and Education, 2023).

Resta da chiedersi a chi giovi tutto ciò e qui il sospetto, più o meno legittimo, insorge: che i social network si avvalgano programmat­icamente dell’invidia per incrementa­re la frequentaz­ione delle diverse piattaform­e attraverso la manipolazi­one di un meccanismo psicologic­o innato? Nel dubbio, meglio forse disconnett­ersi per un po’...

 ?? ?? L'allegoria dell'invidia realizzata da Pieter Bruegel e Pieter van der Heyden
L'allegoria dell'invidia realizzata da Pieter Bruegel e Pieter van der Heyden
 ?? ?? Un dettaglio di ‘Circe invidiosa’ di John William Waterhouse
Un dettaglio di ‘Circe invidiosa’ di John William Waterhouse
 ?? ?? L'invidia di Giotto
L'invidia di Giotto

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