Pontarlier, piccolo condensato di mille anni di storia
Tappa 21 La 21esima tappa ci conduce in Francia percorrendo la Val de Travers. Un percorso abbastanza impegnativo, ma non troppo lungo e immerso nella natura. E dove anche la storia svizzera ha conosciuto momenti rilevanti.
Neuchâtel - Pontarlier
Bourbaki è più facile visto che si è scomodato perfino Ignazio Cassis, poi ci toglie dal dubbio sull’assenzio: parlarne subito o strada facendo? Prima Cassis, dunque. Anche lui, come noi (ma non in bicicletta), ha attraversato la frontiera franco-svizzera all’altezza della dogana di Les Verrières (km 43). Lo ha fatto il 29 gennaio 2022, in qualità di presidente della Confederazione per celebrare i 150 anni dell’accoglienza in Svizzera dell’armata francese comandata dal generale Bourbaki. Un esercito allo sbando in fuga dalle truppe prussiane. 90’000 soldati feriti, congelati e affamati, più 12’000 cavalli. Gennaio 1871, il più grande arrivo di profughi su suolo elvetico. Consegnate le armi, vennero tutti nutriti, curati e alloggiati, poi smistati in tutti i Cantoni tranne che in Ticino. La gigantesca tela circolare che ne ha immortalato la scena è esposta a Lucerna (Bourbaki Panorama), ma attorno a Les Verrières un circuito ciclabile ci porta sulle “tracce della tradizione umanitaria, di ospitalità e di neutralità svizzera” e sui luoghi del primo intervento della Croce Rossa. “Il passaggio di frontiera di Bourbaki ha reso molto visibile l’idea di base del CICR”, ha detto Cassis. Mentre pensiamo che in 150 anni l’ideale di accoglienza ha subito qualche scossone, ci accorgiamo che ci siamo lasciati coinvolgere da Bourbaki, senza descrivere i primi spettacolari chilometri lungo il Lago di Neuchâtel: 10 km su una ciclabile con vista mozzafiato sulle Alpi Bernesi. A Boudry si lascia il lago e ci si avventura fra le impervie e ripide gole dell’Areuse, il fiume che attraversa la Val de Travers. Salita irregolare e romantica di 10 km in mezzo a una fittissima vegetazione. In cima siamo a Noiraigue (km 20), da dove parte il sentiero verso le Creux-du-Van, il più grande e impressionante anfiteatro naturale di pareti rocciose della Svizzera, largo 1’200 metri e profondo 400. Una piacevole ciclabile lungo il fiume ci porta allegramente fino a Couvet (km 30) ed è il momento della fata verde, l’assenzio appunto.
Non è chiaro chi abbia inventato la ricetta. La paternità venne attribuita al dottor Ordinaire, medico francese rifugiatosi a Couvet, ma sembra che il merito sia stato delle sorelle Henriod, venditrici, sempre a Couvet, di questo distillato ricavato da erbe locali (artemisia, semi di finocchio, anice e melissa) che raggiungeva tra i 65 e i 75 gradi. Era considerato un toccasana, ma provocava allucinazioni e squilibri psichici. Il genero di Henriette Henriod, era Henri Louis Pernod, fu poi lui a commercializzarlo in larga scala nella sua fabbrica di Pontarlier. Tutto è finito quando un vignaiolo del posto in stato confusionale sparò a moglie e figli, uccidendoli. Era il 1915, l’assenzio venne messo fuorilegge, poi nel 2005 si è tornati a produrlo. Intanto lungo la Val de Travers non poteva mancare la sua bella Route de l’Absinthe. Non dà più allucinazioni, ma chi non è allenato potrebbe vedere le stelle dopo Saint Sulpice (km36), dove si lascia la cantonale per affrontare una dura salita (circa 3 km) in mezzo alla foresta. Arrivati a Les Verrières inizia il percorso Bourbaki su sentieri da rampichino. In alternativa si può fare come Bourbaki e Cassis: superare la dogana, poi strada larga, in leggera discesa fino a Pontarlier.
Pontarlier: ma cosa c’è da vedere qui?
Siamo forse troppo ingenerosi, ma Pontarlier non è di certo un luogo dell’anima. La città è comunque un passaggio obbligato molto legato all’Europa medievale. Il primo (e unico) luogo per cui val la pena fermarsi è indubbiamente il castello-fortezza che sovrasta la strettoia della Cluse, una manciata di chilometri prima di entrare in città, una quindicina di chilometri dopo la frontiera. Non è solo spettacolare, abbarbicato lassù su uno sperone roccioso a un centinaio di metri sopra il fiume e la strada che giunge dalla Val de Travers. È pure l’unica fortezza militare sviluppatasi in Francia sull’arco di un millennio. Oggi conta cinque mura, 250 locali, tre fossati e si estende su due ettari. Val davvero la pena salire un paio di tornanti in bici e fermarsi a visitarlo. Il Castello di Joux (così come il lago nel Giura svizzero) trae il nome sia dal latino ( juria, foresta di montagna) sia dal celtico ( jor, altopiano boschivo), e sicuramente la prima versione di cui si ha traccia nel 1034 d.C. era una costruzione in legno. Materiale sul quale la regione ha costruito la propria ricchezza: serviva a scaldare, a costruire e, con la pece tratta dalla linfa degli alberi, veniva utilizzato sia come combustibile sia come isolante. D’altra parte, e contrariamente a quanto spesso si creda, il legno era ben più presente della pietra nell’Età di mezzo. I proprietari del castello potevano trarre grandi benefici dalla sua ubicazione, imponendo pedaggi a commercianti e pellegrini: quello era e rimarrà per secoli un luogo di transito tra Italia, Svizzera e le ricche terre di Alta Saona, Champagne e Fiandre. Nel XII secolo il legno lascia il posto alla pietra, il castello si allarga, diventa una vera e propria fortezza a cui ambisce il regno di Borgogna che sotto uno dei suoi duchi più importanti (e che ritroveremo in tutto il nostro viaggio) la acquista. Se Filippo il Buono decide di impossessarsene nel 1454 è per controllare il commercio, in particolare di sale e lana. Il Ducato di Borgogna si estende a quell’epoca a Picardia, Fiandre, Paesi Bassi. Una vera e propria potenza, rivale del Regno di Francia. Filippo ovviamente non trasloca da quelle parti e affida la fortezza a una guarnigione diretta dal Conte di Neuchâtel. Sarà lui a modernizzare l’edificio, aggiungendo una terza cinta muraria e una torre per far fronte alla minaccia di un’artiglieria sempre più performante, grazie in particolare ai cannoni in bronzo. La modifica più imponente è quella, molto riconoscibile, che porta la firma del marchese di Vauban. Il celebre ingegnere militare opera sotto re Sole, Luigi XIV, il sovrano che nel 1678 integra la Franca Contea alla corona francese. La linea di fortezze e cittadelle che fa costruire comprende, oltre al Castello di Joux, Belfort, Briançon a cui si aggiungerà più tardi, sotto il regno di Luigi XV la fortezza di Salins, pure alla frontiera con la Svizzera. Vauban estende ulteriormente gli spazi, innalza una quinta cinta muraria, costruisce abitazioni, una cappella, magazzini, fa scavare un pozzo. Joux diventa una piccola città murata, iperprotetta, quasi inespugnabile. La storia del castello non finisce lì: subisce attacchi di svizzeri e austriaci alla fine dell’epoca napoleonica, viene ulteriormente fortificato dopo la sconfitta inflitta dalla Prussia alla Francia nel 1871, subisce i saccheggi delle truppe di occupazione tedesche nel 1940 che sottraggono tutto il metallo per farlo fondere e utilizzarlo nella produzione di cannoni. Ecco, qui in questo spazio pieno di storia, dalla rocca ci si può fare un’idea di quanto un luogo, che pare oggi nel mezzo del nulla, sia stato strategicamente centrale per un millennio.