Dammi tre parole (guerra, diritti, libertà)
Dai baci multicolor di Mengoni all’orgoglio queer di Big Mama, dal “restiamo umani” di Fiorella a Dargen D’Amico, che per le esternazioni sui bimbi sotto le bombe si è giocato la musica. Chi l’ha detto che Sanremo è ‘solo tre parole’?
La libertà di espressione del Festival è sta il medley ‘Italiano vero’, il dito medio di Ghali, rapper di origini tunisine, rivolto all’estrema destra; lo “Stop al genocidio” sussurrato dal suo extraterrestre alla fine di ‘Casa mia’, la sera della finale, ha indignato l’ambasciatore d’Israele in Italia e sarà tema per la settimana. Negli abissi della classifica, con il complesso del ‘Dove si balla’ (Sanremo 2023, inno scambiato per festaiolo) sta ‘Onda alta’ del suddetto D’Amico, il nostro Premio della critica, una bene orchestrata (nel senso di direttore d’orchestra) apocalisse retta da una marcetta destrorsa per cantare di migranti. Diodato, la sera dopo, quotava il collega, aprendo a tutto un quotamento generale arrivato fino a sabato.
Sempre a contrastare la scuola di pensiero che sostiene che Sanremo sia solo un grande circo, offendendo la rispettabile categoria dei circensi, il Tony Award Stefano Massini è venuto a raccontar di morti sul lavoro insieme a Paolo Jannacci: ‘L’uomo nel lampo’, musicalmente parlando, non è esattamente ‘Signor tenente’, ma va bene lo stesso. Come il monologo sul potere di Teresa Mannino.
Al mio segnale, scatenate il Salento
Su Geolier “camorrista” e altro vocabolario da ultrà, la versione più credibile del presunto broglio che avrebbe portato il rapper nato a Secondigliano a un passo dalla vittoria (il 60% del televoto è stato ribaltato dalle giurie stampa/web/radio) ci viene dalle colazioni in albergo con un manipolo di aficionados campani del Festival, che non si perdono un Sanremo da trent’anni: “Se Emma scatena il Salento al televoto va bene e se invece lo fa un napoletano allora ruba”. Il riferimento è alla vittoria della salentina nel 2012 con ‘Non è l’inferno’. Dell’importanza di avere una fan base più grande di altre si parlò anche nel 2021 con la vittoria dei Måneskin, ma nessuno chiamò in causa la camorra.
In quella che pare l’ennesima faida nord-sud sulla quale Geolier glissa con eleganza, il direttore artistico aveva detto bene nel giorno dell’esplosione del bubbone, la vittoria del rapper nella serata delle cover: “Possiamo essere un Paese fortemente unito, lo vediamo nelle disgrazie e nei festeggiamenti. Ma appena tocchi certe note, siamo l’uno contro l’altro. È un peccato, soprattutto quando si parla di musica, che è di tutti”.
Il caso-Travolta dagli strascichi giudiziari è stato, infine, il solo brutto nell’abbondanza di bello, ed è l’inconveniente del quale Sanremo necessita: “Se non avrai almeno una polemica – disse un giorno Pippo ad Amadeus – vorrà dire che stai facendo un Festival che non interessa a nessuno”.