Giorgia on our mind
Se proprio dobbiamo scegliere un momento d’oro...
“Giorgia sposami”, gridano dal loggione; “Ho un caratteraccio, non ti conviene”, risponde lei. La sua esecuzione di ‘E poi’, per i trent’anni della canzone, nella serata di mercoledì, è il nostro flashback del Festival. È il punto d’arrivo di un’artista che ora dice di preferire una parola detta bene in più a un melisma di troppo ed è, allo stesso tempo, uno spaccato di musica destinato a diventare archivio storico più di quanto già non sia, uno di quegli spezzoni che oggi sono Mina e Battisti che duettano a ‘Teatro 10’.
‘Aprite!’
Nel 1994, per colta scrittura, struttura, sviluppo, ‘E poi’ (Rinalduzzi/Calabrese) stava dalle parti dall’antisanremese; secondo Michele Torpedine, all’epoca manager della cantante (oggi dietro il successo de Il Volo), il pigmalione Pippo Baudo avrebbe preteso che la giovane promessa della canzone si presentasse con un’altra canzone, affossandola in classifica quando ella e il suo entourage rimasero fermi sulle proprie posizioni. “Pippo ci chiese di ‘aprire’ il ritornello, mancavano pochi giorni alla chiusura delle iscrizioni e ci riuscimmo giusto in tempo. Aveva ragione”, dice Giorgia Todrani oggi. Comunque sia andata, quella canzone resta un banco di prova per chiunque. Un anno dopo sarebbe arrivata ‘Come saprei’, e poi ‘Strano il mio destino’.
A chi si fosse commosso su ‘Di sole e d’azzurro’, il Sanremo 2001 vinto da Elisa, la ‘E poi’ del 7 febbraio potrebbe avere causato simile reazione. L’esecuzione andrebbe trascritta come si fa per certi assoli del jazz, che – a spizzichi e bocconi – servono per improvvisare. Quanto al bagno di umiltà di chi ammette di avere perso il treno per l’internazionalità (“Dissi di no a un duetto con Michael Bublé” e “mi chiesero di suonare a un tributo a Michael Jackson, lui sarebbe stato in prima fila. Non volevo prendere l’aereo”), tanto di cappello a chi ha fatto pace con ogni sua “cretinata” (ipse dixit) e si ama per quello che è.