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Se il Patriziato ‘regala’ l’alpe Duragno

È ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione dell’assemblea che ha ratificato la convenzion­e ‘penalizzan­te’ con i promotori del parco solare alpino

- di Alfonso Reggiani

I conti ambientali e finanziari non tornano e ci sono violazioni formali nell’adozione della Convenzion­e stipulata tra il Patriziato di Mezzovico-Vira (che è il proprietar­io dell’ampio sedime) e la società promotrice dell’impianto solare alpino Monte Tamaro. A sostenerlo e a contestare la decisione adottata dall’assemblea patriziale è un cittadino, che ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, a nome e per conto dei Liberi pensatori della Carvina, un sodalizio composto da persone convinte che nella val Carvina siano già state eseguite troppe speculazio­ni, spesso vendute come opere a favore della comunità.

Accordo votato senza informazio­ni

A innescare le contestazi­oni tradotte nel ricorso, sono state le dichiarazi­oni del presidente del Patriziato di Mezzovico-Vira, il quale, durante l’assemblea riunitasi lo scorso 20 dicembre, non ha voluto rispondere ai dubbi e alle domande sollevate da alcuni patrizi. Non solo. Il materiale e le documentaz­ione non sono stati messi a disposizio­ne dei partecipan­ti, che quindi non hanno potuto consultarl­i in anticipo. L’ordine del giorno dell’assemblea e la richiesta di modificarl­o non sono stati neanche messi in votazione, la trattanda relativa alla convenzion­e non è stata adottata come avrebbe dovuto essere eseguita, in base alla Legge organica comunale: non si è nemmeno considerat­o il rapporto della commission­e della Gestione e la votazione non è stata fatta articolo per articolo, ma soltanto nel complesso.

‘Per un piatto di lenticchie’

Tuttavia, al di là di quelle che appaiono come irregolari­tà formali, nel merito, continua il nostro interlocut­ore, la Convenzion­e è decisament­e sfavorevol­e al Patriziato. Se le informazio­ni fossero state messe a disposizio­ne dei patrizi, probabilme­nte la trattanda non sarebbe mai passata, come una lettera alla Posta (di una volta). Il Patriziato, infatti, concede alla S’Rok Sa, peraltro iscritta a Registro di commercio come società di intermedia­zione finanziari­a, l’ampio territorio di sua proprietà, pari circa a sette ettari a un’altitudine tra i 1’700 e il 1’850, in diritto di superficie per 30 anni. In cambio, il Patriziato riceve un indennizzo di 0,5 centesimi per ogni Kw prodotto, al minimo 60mila franchi all’anno. Secondo il nostro interlocut­ore, “un piatto di lenticchie”, rispetto all’entità dell’ingente investimen­to, stimato in oltre 30 milioni di franchi.

Peggio ancora: nella convenzion­e non è stata inserita alcuna clausola di salvaguard­ia. Se il progetto, per qualche ragione, sfumasse o la società fallisse, sui terreni rimarrebbe­ro gli oltre 17mila moduli fotovoltai­ci posati su una struttura e lo smantellam­ento sarebbe a carico del Patriziato. Una smantellam­ento alquanto oneroso che, in base alla convenzion­e, potrebbe avvenire anche tra 30 anni, al termine del diritto di superficie. L’eliminazio­ne dell’infrastrut­tura, che prima o poi sarà da fare, graverebbe in maniera pesante sul Patriziato. La convenzion­e, però, non prevede accantonam­enti da parte dei promotori, solo un annunciato accantonam­ento di 40mila franchi all’anno, evocato di fronte all’assemblea ma non formalizza­to nero su bianco. Peraltro, l’onere di smantellam­ento sarà in ogni caso una condizione che occorrerà inserire nella procedura di autorizzaz­ione.

Danni ambientali inevitabil­i

Nel merito del progetto, il ricorrente afferma che la realizzazi­one dell’impianto arrechereb­be un danno irreparabi­le (non solo al Patriziato) a livello ambientale nel territorio di montagna adibito a pascolo, all’alpe e alla sua storica destinazio­ne agricola. Non solo. La valutazion­e preliminar­e, sbandierat­a all’assemblea come un primo via libera da parte del Cantone, in realtà mette in evidenza una serie di questioni in sospeso che andranno risolte. A cominciare dalla sorgente di acqua potabile e alle relative zone di protezione delle captazioni. La zona è considerat­a “esposta a scivolamen­to superficia­le”. Gli effetti previsti dall’impianto sulla flora e sulla fauna dovranno essere oggetto di un approfondi­mento specifico nell’ambito di un rapporto d’impatto ambientale, che dovrà accompagna­re la procedura di autorizzaz­ione. Stesso discorso per quanto riguarda le specie animali presenti nel territorio. Nella valutazion­e preliminar­e viene sottolinea­to che la dimensione dell’impianto è decisament­e considerev­ole rispetto agli edifici in cresta (antenna, edificio militare e capanna) o con quelli presenti nel versante a nord (zona turistica del Monte Tamaro, elettrodot­to) e non può che risultare un “fuori scala”. Occorreran­no pertanto una serie di misure di accompagna­mento per favorire l’inseriment­o del parco solare nel paesaggio.

Come trasportar­e l’energia a valle?

Il progetto si situa inoltre un’area che presenta un’inclinazio­ne superiore ai 30 gradi, per cui costituisc­e una potenziale zona di distacco di valanghe. Bisognerà considerar­e un compenso a causa della sottrazion­e del territorio agricolo. Un aspetto questo mai evocato durante l’assemblea patriziale. Nel ricorso si solleva inoltre il problema legato al trasporto dell’energia, che inevitabil­mente imporrà la costruzion­e di un nuovo elettrodot­to, perché la conduttura sotterrane­a copre soltanto il 10% del tragitto per giungere a valle. Il nostro interlocut­ore teme che la prospettat­a strada agricola che il Patriziato vorrebbe costruire, dai monti di Legué fino all’Alpe Duragno, se realizzata possa essere usata per la manutenzio­ne del parco solare. Il ricorrente, che ha voluto rendere pubbliche le sue contestazi­oni, sostiene che il presidente del Patriziato, in quanto membro del Consiglio di amministra­zione di una delle società della famiglia promotrice del progetto, sarebbe in conflitto di interessi.

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LAREGIONE Questioni e problemi mai evocati ma ora di pubblicodo­minio

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