Israele colpisce in Libano dopo i razzi di Hezbollah
Abu Mazen incalza Hamas, ma i negoziati sono in salita
Tel Aviv – Si infiamma lo scontro tra Israele ed Hezbollah che rischia di trascinare anche il Libano in guerra. I miliziani sciiti alleati dell’Iran hanno riversato “una pioggia di razzi” sul nord dello Stato ebraico, in particolare a Safed e Merom, località da cui sono sfollati molti residenti viste le continue minacce militari degli Hezbollah dal 7 ottobre scorso. A essere colpita questa volta è stata una base militare, dove è stata uccisa una soldatessa di 20 anni. Altri 8 soldati sono stati feriti.
Israele ha reagito colpendo con vasti attacchi in profondità nel territorio libanese, ben oltre la frontiera e il fiume Litani. Nello specifico, ha fatto sapere il portavoce militare, «una serie di obiettivi di Hezbollah», tra i quali «compound militari, centri di controllo operativi e strutture terroristiche», molti dei quali appartengono «alle forze Redwan», le unità speciali dei miliziani. Il quotidiano libanese ‘Al-Meyadeen’ – legato agli Hezbollah – ha riferito di quattro morti negli attacchi, tra cui una donna e i suoi due figli. Gli Usa hanno subito lanciato un appello alla deescalation, invocando la via diplomatica. «L’escalation pericolosa» in Libano «si deve fermare», ha tuonato anche il portavoce dell’Onu Stéphane Dujarric. Da Israele, il portavoce dell’ufficio del premier Ilana Stein ha ribadito che lo Stato ebraico «non è interessato a una guerra su due fronti, ma se provocato risponderà con forza». Israele ha più volte chiesto– in base alla risoluzione 1701 dell’Onu – che Hezbollah si ritiri oltre il fiume Litani e la Francia sta lavorando a un piano di mediazione. Mentre il ‘Wall Street Journal’ ha fatto sapere che gli Usa stanno indagando su diversi raid israeliani a Gaza che hanno ucciso decine di persone e sul possibile uso da parte di Israele di fosforo bianco in Libano.
Al Cairo intanto – dove ieri è sbarcato anche il leader turco Erdogan dopo oltre un decennio di gelo con l’Egitto – i negoziati con Hamas vanno avanti, ma la strada resta in salita. Varie fonti riferiscono che i colloqui si sarebbero arenati soprattutto sul numero di detenuti palestinesi richiesti dalla fazione islamica per accettare l’accordo sugli ostaggi. «Insisto affinché Hamas rinunci alle sue richieste deliranti. Quando vi rinunceranno, potremo andare avanti», ha detto Netanyahu dopo aver vietato alla delegazione israeliana di tornare oggi nella capitale egiziana. Una decisione attaccata con forza dalle famiglie degli oltre 130 ostaggi.
A incalzare Hamas è stato anche il presidente palestinese Abu Mazen: «Completi rapidamente l’accordo sugli ostaggi», ha ammonito, «per risparmiare al nostro popolo il flagello di un’altra catastrofe». Le preoccupazioni del leader dell’Anp e non solo si concentrano ora sulla possibile operazione di terra a Rafah, dove è ammassato oltre un milione di sfollati. Netanyahu anche ieri ha minacciato un’azione «potente» non appena sgomberati i civili.