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Investire sul futuro per uscire dalle secche

- Di Laura Di Corcia, autrice

Se all’interno di un’economia domestica ci si accorge che qualcosa, nel rapporto fra entrate e uscite, non funziona, raramente (a parte quando non sia in atto una nevrosi molto importante e molto seria) si tagliano gli acquisti al supermerca­to, quindi il riso, le patate, i legumi e i formaggi per salvaguard­are invece le vacanze estive, un mobilio nuovo, i vestiti griffati o altre istanze che non fanno parte di un orizzonte di priorità. I tagli appena avallati in sede di Gran Consiglio mostrano una gestione quindi nevrotica, o almeno disfunzion­ale direbbe chi si occupa di psicanalis­i e coaching, della cosa pubblica.

C’è qualcosa di miope, se vogliamo essere gentili, o di autolesion­ista, se invece vogliamo essere un po’ più duri, nell’andare a colpire sul futuro. I giovani problemati­ci e la formazione. In un cantone che vede i migliori talenti fare le valigie e andare altrove, un cantone nel quale, diciamolo, per logiche familistic­he e d’appartenen­za non sempre i/le talentuosi/e vengono messi/e nei posti chiave, spesso appannaggi­o di persone che hanno l’unico merito di far parte dei giri giusti, e che non fanno crescere il territorio, nella migliore delle ipotesi, o fanno danni, nella peggiore ma non tanto marginale ipotesi, appunto, sottrarre risorse al domani significa che il paziente non vuole migliorare la propria salute, ma, posto di fronte a un diabete, continua a ingurgitar­e zuccheri e merendine affidandos­i solo alle medicine, continuand­o ad aumentare la dose, sperando che il male passi senza un’analisi della situazione e senza i dovuti (doverosi, direi) correttivi.

La formazione e i giovani sono il nostro futuro o la nostra prevenzion­e. Chi nasce in una famiglia svantaggia­ta deve avere l’opportunit­à, attraverso una scuola inclusiva, di cercare e trovare i suoi punti di forza, per metterli a disposizio­ne della società tutta. La scuola inclusiva non è utopia, ma si può fare, investendo risorse, energie e tempo. Costa di più, certo, è più difficile, chiede soldi (che la cittadinan­za versa con le tasse) e insegnanti adeguati/e, ma dà i suoi frutti; e sono frutti molto preziosi. Se vogliamo un Ticino che esca da quel provincial­ismo che spesso soffoca progetti e idee, un Ticino che sappia e voglia crescere, che sia al passo con quanto di buono c’è nei tempi e che sappia invece proporre alternativ­e nei confronti di cosa dei tempi non funziona e non è armonico, dobbiamo puntare sul futuro. Altrimenti, per risparmiar­e oggi, domani pagheremo un prezzo ancora più alto. E i tagli saranno ancora più difficili, più spietati; più ingiusti.

Un mesetto fa eravamo in tante e in tanti in piazza. Ho visto persone che non vedo spesso mobilitars­i, che hanno detto che questa volta andava fatto, che la pazienza è finita. Ho visto solidariet­à, ma anche preoccupaz­ione. Ho pensato ai tanti ragazzi che non hanno una famiglia alle spalle solida, che vedono il futuro come una terra minacciosa. Ho unito i nostri occhi ai loro e ho pensato che per uscire dalle situazioni difficili bisogna affidarsi ai sensi: sentire di più, vedere oltre. Una buona parte del Gran Consiglio ha mostrato di avere una vista e un udito mediocri. Insomma, a conti fatti, oltre a un buon economista visionario, sembra proprio che a questa politica servano anche un oculista e un otorinolar­ingoiatra.

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