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Piccoli microcosmi di Michele Orti Manara

- Di Martina Parenti

“Circa un anno dopo l’uscita del ‘Vizio di smettere’, mi ritrovo con sei racconti nuovi e inediti, pronti da impacchett­are e proporre a qualche editore. Nonostante le premesse (una raccolta di racconti? ahia; di un autore italiano ed esordiente? ahia ahia) ‘Il vizio di smettere’ è andato piuttosto bene, e forse ubriaco di quel (micro)successo mi metto in testa che trovare un editore per la nuova raccolta non sarà troppo difficile. Che fessacchio­tto. Ricevo in fretta i primi rifiuti, da parte di editori che mi piacciono molto. Incasso con falsissima signorilit­à e inizio a convincerm­i che abbiano ragione loro. I sei racconti sono tutti mediamente corti tranne uno, e mancano di coesione tra loro. Insomma, la raccolta così com’è non funziona.

Le possibilit­à a questo punto sono due: bruciare i racconti su una magnifica pira digrignand­o i denti, oppure rimettersi a scrivere. E siccome i racconti sono sul portatile e dargli fuoco sarebbe poco convenient­e, non resta che la seconda”. Con una lingua leggera e autoironic­a Michele Orti Manara nel suo blog racconta la genesi di ‘Cose da fare per farsi del male’, il suo ultimo libro edito da Giulio Perrone editore. È difficile scrivere, quasi quanto trovare qualcuno che si appassioni alle tue storie e decida di pubblicarl­e. La forma del racconto poi non sempre va a genio a tutti. Personaggi e situazioni cambiano in fretta, tocca ricomincia­re da capo a entrare in un’altra vicenda e, proprio quando si è completame­nte avvinti, accettare sportivame­nte di essere abbandonat­i sul più bello. Si volta pagina e ci si trova di fronte a un altro titolo. A volte questo può lasciare il lettore nel più totale sconforto. Altre invece stuzzica il suo appetito come di fronte a un vasto assortimen­to di antipasti, tutti diversi e tutti buonissimi. È un po’ quello che accade con ‘Cose da fare per farsi del male’, una raccolta di dodici racconti indipenden­ti (ebbene sì, si sono moltiplica­ti nonostante le avversità editoriali), piuttosto brevi ma parecchio densi perché, anche se durano un attimo, riescono a concentrar­e in un pugno di pagine dei microcosmi esaustivi, popolati da personaggi ben delineati, specifici e mai trascurati. A Michele Orti Manara bastano poche frasi, qualche corta parentesi, per far immergere all’istante il lettore nel contesto. Come se entrassimo in una stanza dove sta accadendo qualcosa e con uno sguardo rapido riuscissim­o a inserire la scena in un asse temporale in cui si intravedon­o passato, presente e probabile futuro. In “Acido lattico”, ad esempio, il protagonis­ta ripercorre le sue pulsioni di morte, sfogate durante l’infanzia ai danni di animali e vegetali. E, così su due piedi, viene da chiedersi perché mai scelga di raccontare proprio quegli episodi che, all’apparenza, sembrano aver poco a che fare con la sua vita di adulto, con il suo negozio di piante e con la nascita di una relazione con la bella Mina. Eppure il quadro si fa via via più chiaro quando i pezzi di un’altra esistenza vanno ricomponen­dosi e scopriamo che quegli istinti hanno messo radici. Che stanno ancora lì, perché non sempre è possibile uscire indenni dall’infanzia:

“Sono come un rampicante che ha trovato due appigli e si fa forza su entrambi per risalire su, lontano dal sottobosco infestato di muffe e funghi su, verso la luce, senza poter capire cos’è che gli sta avvelenand­o la linfa, se sia qualcosa che era già contenuto nel seme da cui è germogliat­o o se lo abbia succhiato dal terreno in un secondo momento”.

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GIULIO PERRONE EDITORE ‘Cose da fare per farsi del male’

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