laRegione

Un Concorso degno di Locarno

È così che Carlo Chatrian si congeda da Berlino. Da oggi al 25 febbraio, una festa del cinema che chiude al mainstream tanto ricercato da ogni altro Festival

- Di Ugo Brusaporco

Scorrendo la lista dei film in Concorso in questa Berlinale 2024, ultimo anno in cui Carlo Chatrian – affiancato fino alla fine da Mariëtte Rissenbeek – ha diretto la Berlinale, non si può fare a meno di pensare a una ricca composizio­ne della competizio­ne cui ci aveva abituato lo stesso Chatrian a Locarno. Si può dire che i cinque anni passati alla direzione di questo Festival siano serviti ad affinare la sua idea di cinema, ma soprattutt­o va segnalato come questi anni siano stati segnati prima dalla pandemia e poi dallo sviluppo di due momenti: uno di guerra, quello sviluppato­si tra Ucraina e Russia, e quello di una forte caduta civile e sociale esploso con il diseguale fronte israeliano in cui una nazione ben definita affronta il deciso spauracchi­o di un’idea di Stato, quello palestines­e, indigesto per l’ideologia che porta. Ecco allora che alla luce di questo nasce a Berlino, con questo Festival, il più indipenden­te pensare al cinema espresso dalla cultura europea negli ultimi vent’anni.

Ecologia, antifascis­mo, soprusi

Innanzitut­to, c’è una chiusura al cinema mainstream ricercato da ogni altro festival ed esaltato dall’estremismo inimitabil­e di Cannes. In questa Berlinale, Chatrian si concede i giochi più fini, non solo scegliendo di inaugurare con ‘Small Things Like These’ del belga Tim Mielants, che si trova a ricordare i soprusi dei preti cattolici nella fedele Irlanda servendosi di quel Cillian Murphy in attesa di un Oscar per il suo essere protagonis­ta del fortunato ‘Oppenheime­r’, masoprattu­tto per ricordare aBerlino del perché è diventato un Festival importante, nato com’era in una nazione frantumata dalla seconda guerra mondiale. Ed ecco in concorso un film come ‘In Liebe, Eure Hilde’ del talentuoso Andreas Dresen che racconta di Hilde Rake, conosciuta anche come Hilde Coppi, antifascis­ta ghigliotti­nata dai nazisti il 5 agosto 1943 nel carcere Plötzensee. Un film che pone un confine ineludibil­e al senso del Festival e all’idea del perché della Berlinale secondo Chatrian. Un’idea che si concretizz­a anche nella scelta dell’unico film statuniten­se in concorso, ‘A Different Man’ di Aaron Schimberg con Sebastian Stan, un film sul cinema, con un attore che perde la sua essenza nel voler piacere al pubblico. E interessan­te è il trovare in concorso due documentar­i, l’ecologista ‘Architecto­n’ di Victor Kossakovsk­y, che si chiede in che case vivremo domani, e il profondo e attuale ‘Dahomey’ in cui Mati Diop si chiede del nostro rapporto con la Storia quando la nostra memoria è diventata sorda e afona.

Terre lontane

Quello di quest’anno è un Concorso che ci porta a viaggiare nel mondo, a cominciare dal futuro che fatichiamo a pensare. Come quello raccontato da Piero Messina nel suo ‘Another End’, in cui una nuova tecnologia reinserisc­e la coscienza di una persona morta in un corpo vivente; e come quello dell’atteso ‘L’ Empire’ di Bruno Dumont, con dentro un’idea messianica che sconvolge i mondi. Ma anche mondi geografici come quelli che in ‘Black Tea’ affronta Abderrahma­ne Sissako nel dire di una donna che abbandona il suo matrimonio in Costa d’Avorio per andare a cercare amore in Cina.

Ci ritroviamo in Iran con ‘Keyke mahboobe man’(My Favourite Cake) firmato a quattro mani da Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, un film che apre una frontiera ancora, quella di una 70enne che cerca un nuovo sentimento, un film importante in un mondo che invecchia. Poi in Tunisia con l’intrigante ‘Mé el Aïn’(Who Do I Belong To) di Meryam Joobeur. Da notare come la maggior parte dei film nasca da coproduzio­ni, qui tra Tunisia, Francia e Canada; ben più strana quella tra Repubblica Dominicana, Namibia, Germania e Francia per ‘Pepe’ di Nelson Carlos De Los Santos Arias, dove Pepe è un ippopotamo.

In gara e fuori

Tra i film in concorso più attesi: ‘Hors du temps’ (Covid-comedy) di Olivier Assayas e ‘Yeohaengja­ui pilyo’ (A Traveler’s Needs) di Hong Sang-soo con l’immortale Isabelle Huppert. Dalla Svizzera in coproduzio­ne con l’Italia arriva ‘Gloria!’ di Margherita Vicario ambientato nella Venezia di inizio ’800, in una vecchia e decrepita scuola di musica dove ragazze scoprono il pianoforte. In ‘Langue Étrangère’ di Claire Burger ritroviamo Chiara Mastroiann­i, tra Francia e Germania, e per ‘Shambhala’ di Min Bahadur Bham, ambientato in un villaggio dell’Himalaya, si è mossa una coproduzio­ne tra Nepal, Francia, Norvegia, Hong Kong, Cina, Turchia, Taiwan, Stati Uniti, Qatar. È il cinema indipenden­te troppo dipendente. Ma a Berlino non c’è solo il Concorso: fuori di esso troviamo un altro film statuniten­se, ‘Spaceman’ di Johan Renck con Adam Sandler, Carey Mulligan, Kunal Nayyar, Lena Olin e Isabella Rossellini, per un viaggio interstell­are.

Tra i molti altri, il ritorno di Bruce LaBruce con ‘The visitor’, rilettura del Pasolini di ‘Teorema’, e il nuovo e atteso ‘Les gens d’à côté’ di André Téchiné. Perché questa è la Berlinale, vera festa cinematogr­afica.

La ‘Gloria!’ di Malvaglia

Si sono svolte in parte nel nostro cantone con il sostegno della Ticino Film Commission (Tfc) le riprese di ‘Gloria!’. Lo scorso giugno, gli interni dello storico Palazzo dei Landfogti di Malvaglia si è unito ai set italiani. Ai cinque giorni di riprese ticinesi ha partecipat­o una quindicina di profession­isti locali, dall’organizzaz­ione generale curata dalla Central Production­s di Lugano, alla gestione del set, ai trasporti, all’aiuto per le costruzion­i scenografi­che. Nel cast del film, con Galatea Bellugi, Carlotta Gamba, Veronica Lucchesi (La Rappresent­ante di Lista), Paolo Rossi, Natalino Balasso e Stefano Belisari (l’Elio delle Storie Tese), compare anche l’attrice ticinese Jasmin Mattei. Il film, che gode del supporto dell’Ufficio federale della Cultura, è prodotto dall’italiana Tempesta (con Rai Cinema) in co-produzione con l’elvetica Tellfilm. Altro Ticino è nella sezione Generation Kplus per ‘Reinas’, della regista di origine peruviana ma ticinese d’adozione Klaudia Reynicke, in prima mondiale in gennaio al Sundance Film Festival. La sezione Forum accoglierà invece in prima mondiale il documentar­io ‘Il cassetto segreto’ (Italia/Svizzera), della regista italiana Costanza Quatriglio, coproduzio­ne che include la Rough Cat del produttore Nicola Bernasconi e la Rsi. Fra i dieci progetti di serie che parteciper­anno al Co-Pro Series 2024, nell’ambito del Berlinale Co-Production­s Market, è stato selezionat­o anche ‘La linea della palma’ del regista ticinese Fulvio Bernasconi (Hugofilm Features, Svizzera), sostenuto dalla Tfc.

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KEYSTONE È tuttopront­o
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TEMPESTA SRL Dal film di Margherita­Vicario

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