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È morto Navalny, eroe anti-Putin

Il dissidente ha avuto un malore. Aveva 47 anni, da tre era in carcere

- Di Luca Lovisolo

La sottile linea russa tra attivista e politico

Ucciso o lasciato morire in una colonia penale sperduta nella Siberia settentrio­nale, dove le temperatur­e sono così basse che la nostra immaginazi­one fatica a figurarsel­e, secondo quanto hanno comunicato il 16 febbraio gli organi competenti russi è deceduto per cause che mai saranno accertate Aleksei Anatolevic Navalny, di anni 47, il più celebre ed efficace oppositore al regime di Vladimir Putin.

Avvocato, Navalny non era un politico in senso proprio. Era diventato popolare attraverso Internet, con la sua “Fondazione per la lotta contro la corruzione”. I video delle sue inchieste contro il malaffare raggiungev­ano milioni di visualizza­zioni. Cadeva periodicam­ente nel mirino della polizia e dei giudici. Fermi e arresti a suo carico non si contano. L’elenco delle condanne politicame­nte motivate con le quali il Cremlino lo colpiva per zittirlo esaurirebb­e da solo lo spazio di questo articolo: l’ultima è del 2022, per costituzio­ne di organizzaz­ione estremista. Il più recente tentativo di ucciderlo è stato l’avvelename­nto dell’agosto 2020, da cui Navalny si era salvato grazie a un ricovero in Germania.

Oggi in Occidente Navalny è ricordato come “leader dell’opposizion­e russa”. La realtà è più cruda. Un tale leader, in Russia, non può esistere, perché non esiste una vera opposizion­e. La situazione è ancora peggiorata dopo la ripresa della guerra in Ucraina, il 24 febbraio 2022. Gli avversari del Cremlino formano una galassia dispersa di blogger, attivisti e commentato­ri: liberi ma inefficaci se fuggiti all’estero; incarcerat­i o morti se rimasti in Russia. Navalny, finché libero, è stato di gran lunga il più organizzat­o e di maggior successo, ma non è mai riuscito a costruire una vera struttura politica. I contorni del suo programma erano piuttosto incerti. L’aggettivo “liberale”, spesso usato per definire lui e altri oppositori a Putin, ha in Russia un significat­o piuttosto diverso da quello che gli diamo noi. Le affermazio­ni di Navalny sulla guerra in Georgia, sulla Crimea e sulla crisi ucraina hanno fatto aggrottare le ciglia a molti, in Occidente. Il suo partito, Rossiya Budushcheg­o (“La Russia del futuro”), si è sempre visto rifiutare la registrazi­one ufficiale. In breve, tra il Navalny attivista e il Navalny politico correva una linea di confine. Sul terreno dell’attivismo i contorni della sua azione erano definiti; su quello della politica restavano piuttosto sfocati.

Il 17 gennaio 2021 Navalny era tornato in Russia, dopo le lunghe cure che lo avevano guarito dall’avvelename­nto. Il giornalist­a tedesco Peter Tiede lo aveva intervista­to più volte ed era con lui sul volo verso Mosca. Racconta che Navalny era perfettame­nte consapevol­e che rientrare in Russia avrebbe significat­o il carcere e forse la morte. Avrebbe potuto restare in Germania, ma lui non era un oppositore da tastiera. L’arresto, appena messo piede in aeroporto a Mosca, gli altri processi e l’ultima condanna hanno chiuso la sua straordina­ria parabola di attivismo, sino alla morte in Siberia, nel gelido penitenzia­rio costruito sui resti di un vecchio gulag staliniano. Navalny muore lasciando un successo e un insuccesso: ha segnato la vita pubblica russa con il più efficace movimento di opposizion­e dell’era Putin, ma non è riuscito a costituire un polo unificante per l’opposizion­e, malata di inguaribil­i divisioni e personalis­mi che la condannano all’insignific­anza.

È purtroppo finita come tanti temevano: Aleksei Navalny è deceduto in carcere. La sua battaglia disperata contro il potere l’ha portato a una tragica e inevitabil­e conclusion­e.

È stato il suo amore incommensu­rabile per la Russia a farlo tornare a casa dopo essere stato avvelenato in Siberia nell’estate 2020. Ricordiamo ancora adesso, come se fosse oggi, quell’ultimo bacio triste, regalato alla moglie Julija all’aeroporto di Mosca, prima di consegnars­i alla polizia. Da quella terribile serata del 17 gennaio 2021 è iniziata la sua “via crucis”, fatta di processi estenuanti, detenzione senza speranza e lunghi periodi di isolamento, fino a morire in un luogo remoto di detenzione al circolo polare artico, etichettat­o dai media occidental­i “l’ultimo gulag”.

Più lontano possibile

L’avvicinars­i delle Presidenzi­ali di metà marzo aveva suggerito al potere di trasportar­e l’indomabile dissidente il più lontano possibile da Mosca. Il suo recente invito ai russi (attraverso gli avvocati) di “votare per chiunque, ma non per Putin”, aveva creato ulteriore disagio in un Paese in cui la narrativa è unica e nessuno – persino i nazionalis­ti (chiedere per informazio­ni all’eroe del Donbass Igor Strelkov, condannato a 5 anni di reclusione) – si può azzardare a dire qualcosa al di fuori del sentiero tracciato. Ecco la ragione della sua presenza in un carcere ai confini del mondo, raggiungib­ile dopo giorni di viaggio e privo di elementari sistemi di comunicazi­one moderni. Alexei Navalny non accettava che la Russia – con Putin al Cremlino dopo il 2012 – fosse deragliata dalla via maestra della democrazia e dello Stato di diritto. Lottava inoltre per la nascita di un Paese senza “missioni” da compiere, dopo secoli segnati da spaventosi drammi.

Il 47enne avvocato moscovita, blogger di successo e abile politico è sempre stato temuto per la sua capacità innata di saper trascinare in piazza migliaia di persone in ogni angolo dell’immenso gigante slavo.

Soprattutt­o i giovani, quelli che si informavan­o su internet e non attraverso i tradiziona­li canali controllat­i dal regime, rappresent­ano la sua base. La nuova Russia del futuro, insomma, contro quella delle anziane generazion­i ex sovietiche, revanscist­e e nostalgich­e di quell’impero che non esiste più.

I video di denuncia

Le sue inchieste con denunce contro la corruzione hanno attirato l’attenzione di milioni di connaziona­li, che hanno guardato i suoi video sul web. Incredibil­i sono quelli sull’ex premier Medvedev (anche lui ex capo del Cremlino) e sulla presunta “reggia” di Putin sul mar Nero. Con quel suo sorrisetto sfottente Navalny ha raccontato le dinamiche più nascoste e scoperchia­to il vaso di Pandora contenente i segreti meglio custoditi dell’attuale classe dirigente. La reazione dei potenti è stata che quell’“estremista”– poi condannato per i reati più diversi a 19 anni di reclusione – era un “traditore al soldo degli stranieri” e le sue informazio­ni provenivan­o dalle intelligen­ce occidental­i.

Dopo Boris Nemtsov, massacrato sotto al Cremlino nel febbraio 2015, le opposizion­i democratic­he hanno adesso un nuovo illustre martire: Alexei Navalny. Ma la lista di chi ha perso la vita dal 1991 a oggi nella speranza di costruire un Paese normale è lunghissim­a. Il grande pubblico occidental­e certamente ricorderà la giornalist­a Politkovsk­aja che denunciava le brutalità in Caucaso.

Presidenzi­ali alle porte

L’impatto della scomparsa di Navalny in Patria è al momento difficile da valutare. Subito dopo l’annuncio della notizia ovunque sono stati deposti mazzi di fiori ai monumenti dedicati alle vittime della repression­e politica. La polizia è intervenut­a a disperdere gli assembrame­nti (Uljanovsk, Novosibirs­k, San Pietroburg­o); a Mosca, sotto una tormenta di neve a meno 10, la gente è stata invitata a starsene a casa se non vuole evitare conseguenz­e (ma si ha notizia di fermi); i mass media ufficiali, invece, glissano su quanto sta avvenendo.

Come per Evgenij Prigozhin – il capo della compagnia di mercenariW­agner morto in un misterioso incidente aereo in settembre dopo essersi ribellato con le armi a Putin – sicurament­e non verranno concessi funerali pubblici. Troppo alto è per il potere il pericolo di manifestaz­ioni di protesta in un momento così delicato. Come troppo elevato, al contrario, è per i dimostrant­i il rischio di finire nei guai. Quale influenza avrà sulle Presidenzi­ali? Se nei prossimi giorni non succederan­no eventi sconvolgen­ti, sarà relativa. Primo: il controllo dei media è totale e Navalny è sempre stato presentato all’opinione pubblica nazionale come un “traditore”. Secondo: sono solo 4 i candidati in lizza e non è affatto facile far convergere le preferenze, ad esempio su Vladislav Davankov (di “Nuova gente”) per costringer­e Putin al ballottagg­io. Terzo: milioni di persone voteranno anticipata­mente oppure utilizzand­o il voto elettronic­o. Quasi impossibil­e, quindi, sarà controllar­e la regolarità della consultazi­one in assenza di osservator­i indipenden­ti.

Un solco che si allarga

Dal punto di vista internazio­nale la morte del “nemico numero 1 di Putin” traccia un ulteriore solco tra la Russia e l’Occidente e rende le élite, legate al Cremlino, ancora meno accettate all’estero di quanto lo siano state dopo lo scoppio della tragedia russo-ucraina, il 24 febbraio 2022.

Le dichiarazi­oni dei leader mondiali al riguardo sono ineccepibi­li. Per il presidente Usa Biden le autorità russe possono raccontare ciò che vogliono, ma “Putin ha la responsabi­lità della morte di Navalny”, considerat­o “una potente voce della verità”, una “icona” della “lotta a corruzione e violenza”. Gli europei (von der Leyen e Borrell) evidenzian­o di aver chiesto a Mosca più volte di “garantire la sicurezza e la salute” del dissidente e “lo hanno ucciso lentamente Putin e il suo regime”. L’Occidente sta valutando nuove sanzioni. E anche Berna si fa sentire attraverso il Dfae che su X parla di Navalny come di “un difensore esemplare della democrazia e dei diritti”. L’ondata emotiva, suscitata dalla morte di Navalny, potrebbe semmai facilitare l’approvazio­ne al Congresso Usa del pacchetto di aiuti militari all’Ucraina (61 miliardi di dollari), bloccato da mesi dai fedelissim­i di Trump.

Il Cremlino respinge le accuse

Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha rimandato al mittente le accuse occidental­i, definite “indiscrimi­nate” e “assolutame­nte inaccettab­ili”. Navalny sarebbe morto a causa di un “malore” improvviso e per oltre mezz’ora i dottori avrebbero tentato di salvargli la vita. Per lo speaker della Duma, Vjaceslav Volodin, la colpa di quanto accaduto è dell’Occidente (dal segretario della Nato alle autorità Usa, dal cancellier­e tedesco Scholz al premier britannico Sunak) che ha utilizzato Navalny per anni.

Un ultimo punto: se qualcuno a Est pensa di poter rimanere con le mani pulite davanti a quanto succede, la scomparsa di Navalny dimostra che non è possibile. Parlando a Monaco di Baviera, la sua vedova ha promesso a Putin, al suo governo e a quanti lo sostengono traendo vantaggi che rispondera­nno delle loro colpe. “Quel giorno è sempre più vicino”, ha promesso Julija Navalnaja.

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 ?? KEYSTONE ?? Il dissidente, morto ieri in circostanz­e poco chiare, era nato a Butyn, un villaggio con poche decine di abitanti nell’Oblast di Mosca, il 4 giugno1976
KEYSTONE Il dissidente, morto ieri in circostanz­e poco chiare, era nato a Butyn, un villaggio con poche decine di abitanti nell’Oblast di Mosca, il 4 giugno1976

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