laRegione

Più nonni che famiglie a causa dei salari bassi

- di Simonetta Caratti

Sempre meno giovani restano in Ticino, soprattutt­o se hanno faticato per ottenere una formazione superiore o universita­ria. In 800 ogni anno emigrano in altri cantoni per trovare buone opportunit­à di lavoro, salari migliori, fare esperienza, o per curiosità. In questo non c’è nulla di sbagliato. Il punto è che difficilme­nte questi giovani tornano a vivere in un cantone dove i salari sono tra i più bassi della Svizzera e dove non trovano un impiego che corrispond­a alle specializz­azioni tanto sudate. Emigrare è quasi d’obbligo. Partono e metteranno su famiglia altrove. Significa una perdita di creatività, di capacità managerial­i, di contributi culturali e anche di famiglie per il nostro cantone. Questa forte emigrazion­e è una delle cause, forse la più importante, dell’inverno demografic­o che stiamo vivendo alle nostre latitudini. Le statistich­e evidenzian­o che i ticinesi fanno pochi figli: con una quota di 6,9 nascite ogni mille abitanti, il nostro cantone è tra i fanalini di coda a livello svizzero, dove la media si attesta al 9,3. In realtà i ticinesi fanno figli, ma non nel loro cantone d’origine. Per invertire l’attuale trend di denatalità – secondo l’esperto di statistica Elio Venturelli intervista­to a pagina 4 – si dovrebbe rendere il mercato del lavoro più attrattivo per i giovani laureati. Per farli restare bisogna offrire buone opportunit­à profession­ali e salari perlomeno dignitosi. Questo è il vero nodo da sciogliere. Aiuti alle famiglie, asili nido e incentivi all’alloggio – proposti da due granconsig­lieri del Centro con un poker di iniziative per rilanciare la natalità – avrebbero veramente un impatto? Aiuterebbe­ro, ma probabilme­nte non invertireb­bero una tendenza che mette radici altrove, in un mercato del lavoro con salari al ribasso, sempre più lavoretti su chiamata e tempi parziali, che spinge i laureati a emigrare. Chi ha la bacchetta magica per fare tutto ciò?

In questi anni il Consiglio di Stato si è dato da fare investendo nel settore della ricerca e dell’innovazion­e che richiama giovani ricercator­i, spesso stranieri, ma anche qualche ticinese. Anche l’università non riesce ad arginare l’emorragia di ‘cervelli’. Il punto dolente sono i salari. Secondo l’economista Angelo Rossi, intervista­to di recente da questo giornale, l’esodo potrebbe fermarsi se i salari in Ticino aumentasse­ro del 15% e se l’offerta di posti per alte qualifiche rispondess­e alla domanda dei giovani ticinesi. Questa è la via per uscire dal gelo demografic­o che sta attanaglia­ndo il Ticino e rischia di avere un impatto sul sistema pensionist­ico. L’immigrazio­ne dall’estero negli ultimi anni ha compensato in parte le partenze. Cresce anche l’arrivo di pensionati dal resto della Svizzera. Chi era emigrato dove la vita costa meno, dopo la pandemia avrà riconsider­ato i rischi sanitari, prediligen­do garanzie elvetiche di assistenza medica e assicurazi­oni sociali. Avremo più nonni ma comunque meno genitori. Una popolazion­e anziana sempre più dipendente dallo Stato, con redditi inferiori alle persone attive profession­almente, rischia alla lunga di svuotare le casse dello Stato.

In una Svizzera con poli che attirano i talenti, e regioni che dopo averli formati li vede partire, si dovrebbe pensare a qualche forma di compensazi­one.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland