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Sguardi alla Cina dalla Svizzera

Prenderà avvio domani all’ex Asilo Ciani a Lugano la rassegna ‘#TiVedo Sharp Eyes on China’ organizzat­a dalla Fondazione diritti umani

- di Ivo Silvestro

L’obiettivo della rassegna ‘#TiVedo Sharp Eyes on China’ è tanto semplice quanto ambizioso: informare, sensibiliz­zare e mobilitare la popolazion­e sulle violazioni dei diritti fondamenta­li che avvengono intorno a noi. Perché la Cina può apparire lontana, ma è un’apparenza che svanisce se, andando al di là della semplice geografia, si consideran­o i profondi legami economici e non solo che legano la Repubblica popolare cinese ai Paesi occidental­i, Svizzera inclusa.

‘#TiVedo Sharp Eyes on China’ si apre ufficialme­nte domani, domenica 18 febbraio, e si chiuderà il sabato successivo, 24 febbraio, negli spazi dell’ex Asilo Ciani a Lugano. Al cuore di questo evento voluto dalla Fondazione diritti umani e realizzato in collaboraz­ione con numerosi partner, c’è il progetto ‘Investigat­ing Xinjiang’s Network of Detention Camps’ che nasce dalla fruttuosa collaboraz­ione tra l’architettu­ra e il giornalism­o investigat­ivo e che ha portato a una installazi­one presentata all’ultima Biennale di architettu­ra a Venezia. A fianco di questa mostra, un nutrito programma di incontri per approfondi­re le violazioni dei diritti umani portate avanti dal governo cinese. Informazio­ni su www.fondazione­dirittiuma­ni.ch/tivedo.

Ne abbiamo parlato con Gabriela Giuria, responsabi­le sviluppo progetti per la Fondazione diritti umani.

Come nasce questo progetto?

L’idea di organizzar­e un’intera rassegna sulla Cina e i Diritti Umani, in particolar­e sulle culture e tradizioni di popoli che rischiano di venire cancellati, nasce diversi anni fa. In più occasioni sia la Fondazione sia il Film festival diritti umani hanno dato spazio a temi legati alla situazione tibetana e uigura. Ma c’erano sempre troppi temi da affrontare, troppe persone da invitare a parlare, e troppa voglia di approfondi­re. Poi abbiamo visto quasi per caso una mostra sui campi dello Xinjiang alla Biennale di Venezia, e abbiamo colto l’occasione.

Perché parlare di Cina, in un momento in cui l’attenzione è rivolta al Medio oriente e alla Russia?

Una situazione di crisi non ne cancella un’altra. I diritti umani sono universali e vanno garantiti ovunque, anche se l’attenzione internazio­nale è rivolta altrove. Attraverso una rassegna di eventi innanzitut­to culturali, vogliamo far conoscere la realtà attuale e le tradizioni uigure e tibetane, affinché le persone possano capire meglio anche la gravità delle persecuzio­ni in atto.

Che cosa racconta la mostra ‘Investigat­ing Xinjiang’s Network of Detention Camps’? Perché avete reputato importante ospitarla a Lugano?

La mostra ricostruis­ce un’inchiesta assolutame­nte innovativa che nel 2021 ha vinto il Premio Pulitzer per le inchieste giornalist­iche. L’architetta Alison Killing, assieme alla giornalist­a Megha Rajagopala­n e al programmat­ore Christo Buschek hanno unito le loro competenze per indagare la rete di campi di detenzione nella regione dello Xinjiang, nel nord della Cina. Grazie a tecniche innovative di analisi spaziale, architettu­ra forense, giornalism­o investigat­ivo, dati satellitar­i e programmaz­ione informatic­a, la loro inchiesta aveva ottenuto risultati eccezional­i per dimostrare al mondo l’architettu­ra di questo sistema di detenzione segreto. Risultati che poi sono stati rielaborat­i e illustrati attraverso fotografie, un’installazi­one video e un disegno di inchiostro su carta di 8 metri per quattro per ricostruir­e in dettaglio la mappa di uno di questi campi.

La mostra “Investigat­ing Xinjiang’s Network of Detention Camps” è stata esposta per la prima volta alla Biennale di architettu­ra di Venezia 2023 prima di arrivare a Lugano.

Attorno alla mostra avete allestito una settimana di eventi e incontri.

Ogni sera proponiamo un documentar­io e una tavola rotonda su un tema diverso, ma ospiteremo anche una conferenza con ascolti musicali proposta dal Conservato­rio della Svizzera italiana, mercoledì 21 febbraio alle 17.30, sull’influsso dell’Oriente sulla musica classica occidental­e. E da martedì a sabato avremo ospiti due monaci tibetani nel Patio dell’ex Asilo Ciani che apriranno le giornate con un momento di Puja e meditazion­e aperto al pubblico ogni giorno alle 10.00 e poi si dedicheran­no alla realizzazi­one di un mandala di sabbia. Infine sabato 24 questo mandala verrà dissolto, in una cerimonia rituale in cui si rappresent­a la ciclicità del costruire e del dissolvere, e la sabbia verrà distribuit­a alle persone presenti come augurio di buona fortuna. A partire dalle 16.00 ci sarà un’esibizione di danze tibetane.

La Cina appare lontana. In che misura quello che accade lì ci riguarda? E che cosa può fare la Svizzera?

La Cina non è affatto così lontana se pensiamo a quanti dei prodotti di uso quotidiano sono stati prodotti o lavorati almeno in parte in Cina. Il cotone ne è un esempio eclatante. Quasi un quinto del cotone mondiale proviene dallo Xinjiang, e viene lavorato con l’impiego delle persone rinchiuse nei campi di detenzione. Si tratta di lavoro forzato. E molte inchieste internazio­nali hanno dimostrato che parte di quel cotone poi finisce nei grandi marchi internazio­nali venduti anche in Svizzera. E così accade per altri prodotti, come il pesce, i profumi e altro. Possiamo sempre fare qualcosa per difendere e promuovere i diritti umani, ma soprattutt­o possiamo almeno cominciare a interessar­ci ed evitare di sostenere catene di produzione che impiegano lavoro forzato. E possiamo invece esigere il controllo del rispetto dei diritti umani. Ne parleremo martedì sera, quando proiettere­mo anche un documentar­io sul lavoro forzato e i prodotti insostenib­ili.

Possiamo fare tanto noi, singolarme­nte, e soprattutt­o la Svizzera può fare tanto visto il suo ruolo internazio­nale. Se persino la Svizzera tace e chiude gli occhi di fronte alle violazioni sistematic­he dei diritti umani, chi dovrà intervenir­e?

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KILLING ARCHITECTS Investigat­ing Xinjiang’s Network of DetentionC­amps
 ?? KILLING ARCHITECTS ?? Indagando l’architettu­ra della detenzione
KILLING ARCHITECTS Indagando l’architettu­ra della detenzione

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