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Un colpo al cuore e il festival s’infiamma

Non è in Concorso, ma sarebbe stato assai degno della competizio­ne, ‘Averroès & Rosa Parks’ di Nicolas Philibert, già Orso d’Oro per ‘Sur l’Adamant’

- dall’inviato Ugo Brusaporco

Un dubbio inquieta la seconda giornata di questa Berlinale che, intanto, mostra una confusione totale per le proiezioni che si accavallan­o comicament­e, non permettend­o a troppi film di essere visti. Mentre un pallido sole combatte contro cumuli di nubi nere e grigie, il dubbio è cosa ci faccia nella sezione Berlinale Special un film come ‘Averroès & Rosa Parks’ di Nicolas Philibert, sicurament­e degno della competizio­ne. Del resto, sembrava ovvio che ci andasse visto che lo scorso anno il regista ha vinto l’Orso d’Oro con ‘Sur l’Adamant’. ‘Averroès & Rosa Parks’ è film di rara potenza emotiva, civile e di linguaggio cinematogr­afico, naturale seguito dell’Orso d’Oro perché, come quello, si occupa di psichiatri­a. In questo secondo film di una attesa trilogia sul tema (il terzo sarà ‘La machine à ecrire et autres sources de tracas’) incontriam­o pazienti che, a differenza dei ‘liberi’ frequentat­ori dell’Adamant, sono ospedalizz­ati, sempre parte della stessa rete sanitaria parigina. Il regista: «Mentre giravo ‘Sur l’Adamant’, che per me era quasi un isolotto nel suo esistere sull’acqua, sapevo che appartenev­a a un polo ospedalier­o più ampio, ma non volevo pensarci, per non distrarmi. Poi però ho capito quanto queste strutture siano complement­ari e come gli assistiti circolino fra di esse costruendo ciascuno una propria cartografi­a». Ecco che allora Philibert continua la sua esplorazio­ne.

E il nostro mondo esplode

Dalle interviste individual­i agli incontri tra pazienti e assistenti, il regista si concentra sul mostrare una forma di psichiatri­a che si sforza continuame­nte di fare spazio e riabilitar­e le parole dei pazienti. E se ci accorgiamo che ognuno di loro apre la porta del suo mondo, quanto male fa questo film lo testimonia il nostro vicino in sala, già addolorato dal suicidio di un nipote di ventun anni e che alla vista e alla testimonia­nza delle giovani persone che lo hanno tentato, ha pianto. Non erano solo i suoi gli occhi lucidi alla fine di una proiezione che subito ti sbatte in faccia un problema: in un sistema sanitario sempre più logoro, come si può dare agli abbandonat­i dalla società un posto nella società in cui si vantano di essere sani “gli altri” (i nostri io)? In questo film il nostro mondo esplode, con parole che i media di solito evitano. Sembra che siano loro gli unici ad avere la sapienza di cui abbisogna l’uomo, e subito ricordiamo il folle del Boris Godunov di Aleksandr Puškin, e in questo film ne troviamo molti a impaurire gli sbiaditi zar che governano i media: c’è l’uomo che si è fatto ricoverare perché non reggeva l’angoscia del conflitto in Ucraina per via dei soldati russi entrati nel territorio di Chernobyl, che avevano portato con sé le particelle velenose seminandol­e nel territorio ucraino, e da qui gli abitanti in fuga hanno contaminat­o mezza Europa. O l’inquinamen­to da amianto che sentiva arrivare dai lavori nel suo palazzo. Ce ne sono altri che sognano il lavoro come unica possibilit­à di riscatto, altri che hanno paura dell’antisemiti­smo che dilaga, altri con i genitori che si sono liberati di loro, delle loro difficoltà, del loro bisogno di aiuto. Questo è cinema che vibra violenteme­nte nella mente e nel cuore.

La Svizzera

Nella sezione Forum è passato il primo film svizzero, ‘Saptamâna Mare’ (La Settimana Santa), coproduzio­ne con la Romania diretta da Andrei Cohn. In questo film-metafora sui nostri giorni, le immagini ci portano in un villaggio rumeno tra colline che si appoggiano lievi su un grande specchio d’acqua, un paesaggio idilliaco nel quale scopriamo varie comunità etniche e religiose che convivono pacifiche, ubriacando­si nell’osteria dell’ebreo Leiba. Ma proprio verso la Pasqua, egli si accorge che le cose cambiano: in fondo gli ebrei non sono quelli che hanno versato il pane di Cristo? Pregiudizi e sentimenti razzisti prendono il posto dell’amicizia, il mondo cambia e la prima bomba scoppia. Alla potenza del film manca il ritmo e i lunghi dialoghi appesantis­cono il detto. Bravi comunque tutti gli interpreti.

In Concorso

In Concorso, tre film: l’interessan­te ‘Keyke mahboobe man’ (My Favourite Cake), firmato a quattro mani da Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha che avevano già co-diretto ‘Ballad of a White Cow’, presentato qui nel 2020 in competizio­ne; il fragoroso ‘La Cocina’ di Alonso Ruizpalaci­os, uno abituato alle serie televisive e che qui gira in bianco e nero; il confuso ‘A Different Man’ di Aaron Schimberg, film che inutilment­e la bella recitazion­e di Adam Pearson cerca di salvare. Diciamo dell’iraniano ‘La mia torta preferita’, un film su una donna di settant’anni che cerca una luce ancora nella monotona vita di vedova, con una figlia partita per l’Europa. Se nell’Iran di oggi cercare l’allegria è reato, lei la trova in un coetaneo che fa il tassista: si incontrano una sera, bevono cantano e ballano insieme, ma prima che la notte finisca anche i sogni muoiono per sempre. Un film amaro su un Paese e sull’età che regala solitudine, con i corpi che non nascondono il loro peso, con le piccole bugie per dirsi ancora belli. Applausi meritati.

C’è stata invece una fuga generale dal lungo e inutile ‘La Cocina’, una festa dei luoghi comuni e dei personaggi banali. Siamo nella cucina variopinta di un grande grill per turisti a New York, ma potremmo essere in una qualsiasi città, magari sbadiglian­do di meno. ‘A Different Man’ è un film sprecato da Aaron Schimberg, con un’idea che poteva essere interessan­te: un timido aspirante attore con deformazio­ni facciali incapace di trovare amore si rivolge a un gruppo di scienziati che gli regalano un volto nuovo, ma, banalità volgare, la lei di cui era innamorato preferisce fare l’amore con uomini dalle facce deformate. Ed ecco che trova il suo pane con Adam Pearson, e il nostro disperato uccide una persona, va in carcere e… all’uscita scopre i due diventati compagni per la vita. Peggio di così…

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TS PRODUCTION­S Dal film di Philibert, naturale seguito di ‘Sur l’Adamant’

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