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L’Africa svenduta al mercato dei ‘crediti carbonio’

Una pioggia di miliardi di dollari da Stati e privati come compensazi­one in cambio della concession­e di milioni di ettari di terreni e parchi nazionali

- di Matteo Fraschini Koffi, da Dakar (Senegal)

Molti la definiscon­o una “neocoloniz­zazione verde”. Sono infatti sempre più forti le preoccupaz­ioni rispetto a milioni di ettari di foreste africane diventati l’oggetto di investimen­ti legati al crescente mercato (di circa 2 miliardi di dollari) dei crediti di carbonio. I più attivi nel settore sembrano essere i Paesi del Golfo Persico con in testa gli Emirati Arabi Uniti (Eau). Negli ultimi mesi sono però aumentate anche le proteste contro governi o privati, stranieri e locali, che prendono in gestione enormi fette del territorio africano per sfruttare un “mercato verde”. Queste iniziative sono state in parte promosse attraverso un susseguirs­i di Cop che ormai hanno perso credibilit­à. Diversi esperti a livello internazio­nale si sono persino rifiutati di partecipar­e all’ultima, la Cop28 a Dubai.

Contratti a tanti zeri

Durante le settimane precedenti all’evento, sono stati firmati numerosi contratti per centinaia di milioni di dollari da investire nei crediti di carbonio in ogni regione del continente africano. Un singolo credito di carbonio è costituito da una tonnellata di anidride carbonica (o il suo equivalent­e) rimossa dall’atmosfera o alla quale ne è stato impedito l’ingresso. Questi crediti vengono quindi acquistati dai maggiori emettitori di gas serra per compensare le loro attività inquinanti. Da una parte ci sono i governi e le aziende che consideran­o tale mercato un’opportunit­à lucrativa che allo stesso tempo protegge l’ambiente. Per gli ambientali­sti, invece, questo sistema ha di verde solo il colore del dollaro. Molti analisti sostengono che si stanno mettendo a rischio i polmoni naturali dell’Africa e violando i diritti delle popolazion­i locali.

A inizio dicembre scorso, la Tanzania ha firmato un accordo per “uno dei più grandi progetti di crediti di carbonio terrestri dell’Africa orientale”. Sono stati dati in concession­e sei parchi nazionali che si estendono per oltre 1,8 milioni di ettari sui circa 48 milioni di aree forestali di cui dispone il Paese. “Una parte dei ricavi che deriverann­o dalla vendita dei crediti di carbonio andranno a Tanapa, l’agenzia di gestione dei parchi tanzaniani, e alle comunità locali – afferma Marc Baker, fondatore e direttore inglese della società Carbon Tanzania. “Facilitere­mo lo scambio di crediti di carbonio, ma non solo – spiega Baker, ex consulente del Programma ambientale dell’Onu (Undp) –. Il progetto si focalizzer­à anche sulla protezione, conservazi­one e migliore gestione di queste aree, salvaguard­ando gli ecosistemi e le risorse vitali della fauna selvatica”.

I sei parchi nazionali coinvolti sono: Ugalla River, Burigi-Chato, Mahale Mountains, Mkomazi, Katavi Plains, e Gombe Stream. Tra gli investitor­i a livello locale c’è anche il miliardari­o uomo d’affari, Mohammed Dewji, a capo della Mohammed Enterprise­s Tanzania Ltd, una società agricola e manifattur­iera. La Tanzania ha inoltre stipulato un accordo preliminar­e per 8,1 milioni di ettari, quasi l’8% del suo territorio.

‘Violazioni dei diritti’

Le stesse dinamiche sono già state applicate in altri Stati come Liberia, Zambia, Zimbabwe, Kenya, Uganda e Angola. “Sono in atto possibili violazioni dei diritti delle popolazion­i locali – continua a protestare una parte della società civile liberiana –. Solo alcune delle regioni legate a questi accordi sono classifica­te come aree protette”. Il resto del territorio adibito per i prossimi decenni al mercato dei crediti di carbonio sarebbe invece costituito da “terreni sottoposti a regimi patrimonia­li di vario genere”. La Liberia ha ceduto il controllo di quasi un decimo del suo territorio nazionale alla Blue Carbon Llc, un’azienda con sede a Dubai e che fa capo ad Ahmed Dalmook al Maktoum, ultimo figlio del leader emiratino, Mohammed al Maktoum. L’accordo prevede la gestione di circa un milione di ettari per i prossimi 30 anni che saranno commercial­izzati attraverso i certificat­i di crediti di carbonio. I dettagli sono elencati in un documento che le autorità di entrambi i Paesi preferisco­no tenere segreto.

“Sebbene questo mercato esista da vari anni– affermano gli esperti –, i contratti firmati tra governi e aziende private sono aumentati di numero e valore in maniera esponenzia­le”. Questi accordi potrebbero inoltre violare numerose leggi nazionali legate al diritto della terra e delle comunità in loco. “Molti abitanti di queste aree non sanno cosa stia succedendo alla loro terra – spiegano numerosi deputati africani dell’opposizion­e criticando le scelte dei propri governi –. Sono minacciate le vite di migliaia di cittadini che hanno sempre voluto abitare nelle zone rurali”. L’anno scorso, la Blue Carbon Llc ha comunque espresso l’intenzione di accaparrar­si oltre “24 milioni di ettari” in almeno sei Stati del continente africano trovando grande accoglienz­a da parte dei governanti locali. “Questo mercato verde è una miniera d’oro per la nostra economia – ha dichiarato di recente William Ruto, presidente del Kenya –. È la nostra prossima risorsa naturale da esportare all’estero”. Il fenomeno del cambiament­o climatico si sta quindi trasforman­do rapidament­e in un’opportunit­à economica per molti governi, istituzion­i finanziari­e, compagnie petrolifer­e e uomini d’affari. Allo stesso tempo, però, sta affiorando un lato sempre più scuro della cosiddetta “economia verde” a livello internazio­nale.

Spettro cinese

Lo Zambia ha firmato un memorandum d’intesa per piantare alberi oltre a preservare e riabilitar­e delle foreste su oltre 4 milioni di ettari (il 5% del proprio territorio) in collaboraz­ione con delle aziende cinesi. Il Guangxi Fenglin Wood Industry Group si è accordato con la Developmen­t Company Ltd. per piantare migliaia di “pinus elliottii” (una specie di pino originario degli Stati Uniti) su 100mila ettari. Il governo zambiano e le aziende coinvolte hanno dichiarato che “verranno prodotti 23,25 milioni di crediti di carbonio all’anno offrendo lavoro a 65’600 persone”. A causa della segretezza di vari accordi e della nomea che avvolge la Cina rispetto alla sete di materie prime come il legname, pochi credono che questa iniziativa possa rispettare le norme di un mercato che, a detta di molti, necessita ancora di una vera e propria regolament­azione. Diversi Stati africani stanno cercando di analizzare e attuare le regole di un commercio completame­nte sconosciut­o a gran parte delle popolazion­i che governano.

L’Africa è responsabi­le di meno del quattro per cento delle emissioni di Co2 nell’atmosfera. Il continente resta però una delle regioni più colpite dalle drammatich­e conseguenz­e del cambiament­o climatico. Invece di focalizzar­si sulla riduzione dell’inquinamen­to da parte dei Paesi più ricchi, il mercato vuole aumentare il suo coinvolgim­ento in quella parte di mondo meno inquinante. Alcuni esperti hanno inoltre rivelato che: “Il 90% dei crediti di compensazi­one delle foreste pluviali approvati da Verra (la più grande agenzia mondiale per gli standard di compensazi­one delle emissioni di carbonio, ndr), erano probabilme­nte ‘crediti fantasma’ e non rappresent­erebbero una reale riduzione delle emissioni di carbonio”. Secondo una lunga indagine pubblicata un anno fa da alcuni media come il quotidiano britannico “The Guardian” e il tedesco “Die Zeit”, le compensazi­oni di carbonio utilizzate anche da aziende come Disney, Shell, Gucci sono in gran parte “inutili e potrebbero persino aggravare i livelli del riscaldame­nto globale”.

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DEPOSITPHO­TOS La foresta pluviale, croce e delizia degli accordi tra multinazio­nali e governi
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KEYSTONE La Liberia ha ceduto il controllo di quasi un decimo del suo territorio nazionale alla Blue CarbonLlc
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WIKIPEDIA Il presidente del Kenya WilliamRut­o

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