laRegione

Il dilemma del fotovoltai­co, tra bollette e remunerazi­one

Aet segue il mercato e taglia le tariffe di acquisto dai privati dell’energia in eccesso. ‘Tenerle più alte farebbe aumentare i costi finali ai consumator­i’

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Giacomo Agosta

Quattordic­i centesimi che fanno rumore. Sono il taglio dell’Azienda elettrica ticinese (Aet) alla tariffa – calcolata al kilowattor­a (kWh) – riconosciu­ta ai proprietar­i di pannelli fotovoltai­ci per l’acquisto dell’energia in eccesso. Dai 22,5 centesimi versati nel 2022 si è scesi agli 8,5 del 2023. Un balzo importante che ha riportato il prezzo in linea con quanto era la norma negli anni precedenti ma che resta inferiore a quello che viene riconosciu­to negli altri cantoni, dove difficilme­nte si scende sotto i 10 centesimi al kWh. Non sono però mancate le critiche, a cominciare dalla politica, visto che sull’arco di un anno la differenza è notevole. Un’interpella­nza presentata da Massimo Mobiglia (Verdi liberali) e Matteo Buzzi (Verdi) afferma che questa misura potrebbe rappresent­are un disincenti­vo per i cittadini a investire nel fotovoltai­co. Al Consiglio di Stato viene quindi chiesto se non sia il caso di intervenir­e, ad esempio introducen­do una soglia minima per la remunerazi­one della corrente fotovoltai­ca in Ticino. «La domanda di fondo che ci dobbiamo porre – afferma interpella­to dalla ‘Regione’

direttore dell’Azienda elettrica ticinese (Aet) – è questa: vogliamo una bolletta più leggera per tutti o una remunerazi­one maggiore per chi produce energia fotovoltai­ca?». Anche perché, prosegue Pronini, «la tariffa per i produttori privati riconosciu­ta da Aet dipende dai prezzi di mercato. Noi ritiriamo questa energia che non può essere accumulata e la vendiamo direttamen­te sui mercati all’ingrosso. Il valore di questa energia è calcolato annualment­e sulla base di un indice della borsa elettrica svizzera elaborato dall’Ufficio federale dell’energia. Se questa energia venisse remunerata oltre il suo valore di mercato necessiter­ebbero ricadute su tutta la catena e il consumator­e finale dovrebbe pagare un prezzo più alto. Ricordiamo­ci le reazioni dello scorso anno per l’esplosione dei prezzi dell’energia: una situazione simile non sarebbe sostenibil­e sul lungo termine, ad esempio, per le industrie».

Rispetto al 2022 la riduzione della tariffa per il 2023 è però stata importante, da 22,5 a 8,5 centesimi al kilowattor­a. «Vero, ma lo scorso anno è stato eccezional­e. Un valore fuori dalla media», risponde il direttore di Aet. «Le grosse differenze degli ultimi tre anni sono dovute a variazioni del mercato che non si erano mai viste. Se nel periodo 20152020 abbiamo avuto una certa stabilità, con differenze di pochi centesimi, nei tre anni successivi abbiamo vissuto oscillazio­ni fuori dalla norma. Il crollo delle tariffe deriva da qui. Va comunque detto – aggiunge Pronini – che quello del 2023 è il terzo prezzo più alto dal 2015». Proprio per contrastar­e l’instabilit­à c’è chi ha proposto, attraverso un’interpella­nza inoltrata al Consiglio di Stato, di fissare una soglia minima per le tariffe. Indicativa­mente intorno al 10-12 centesimi al kWh. Risponde il direttore dell’Azienda elettrica ticinese: «Se si fissa una soglia minima al di sopra del valore di mercato qualcuno si vedrà fatturare il maggior costo. E paradossal­mente questo peserà su chi non ha un impianto fotovoltai­co a casa. Quindi andranno probabilme­nte a pagare di più gli inquilini di appartamen­ti. È un problema di redistribu­zione – aggiunge Pronini –, se si paga di più l’energia fotovoltai­ca, qualcuno dovrà coprire la differenza. E le possibilit­à non sono molte: lo Stato o il consumator­e finale». In altri cantoni, però, il prezzo che verrà riconosciu­to ai produttori privati per il 2023 è più alto di quello ticinese. A Zurigo, ad esempio, la città paga 14,54 centesimi al kWh, mentre il cantone si ferma a 10,9. «Dove ci sono dei prezzi più alti è perché, di regola, ci sono dei clienti vincolati. Questa energia viene ritirata a un prezzo più alto perché il cliente a cui viene venduta non può scegliere da chi acquistarl­a. In alcune città d’oltralpe,

Pronini: ‘Vogliamo pagare di meno o remunerare di più chi produce?’

Roberto Pronini,

che hanno fatto una scelta più ‘verde’, questa energia viene rivenduta a tariffe più alte. Da noi si è fatta la scelta di prestare maggiore attenzione ai prezzi, che sono più bassi sia all’acquisto che alla vendita al cliente», risponde Pronini. Restando all’esempio di Zurigo: «Lì ci sono più tasse e contributi pubblici, oltre a una grossa base di nucleare e di idroelettr­ico. Questo mix permette di riconoscer­e ai produttori privati una tariffa più alta di quella ticinese, senza incidere eccessivam­ente sul prezzo medio».

‘È un investimen­to che resta convenient­e’

A proposito dei prezzi riconosciu­ti ai produttori privati. Una critica che spesso si muove ad Aet è la differenza tra la tariffa con la quale si acquista ai privati – 8,5 centesimi al kWh per l’energia fotovoltai­ca nel 2023 – e quella con la quale si rivende alle economie domestiche, quest’anno intorno ai 20-25 centesimi. «Va però ricordato che in questa differenza ci sono anche il costo della rete e le tasse. Il prezzo finale è composto per circa il 45% dall’energia, per il 40% dall’utilizzo della rete e per il restante 15% da tasse e tributi. E qui si spiega anche la differenza tra cantoni citata in precedenza». Ma non c’è il rischio che con una tariffa più bassa si disincenti­vi a investire in un settore virtuoso come quello fotovoltai­co? «No, lo dicono i numeri che mostrano come gli impianti siano aumentati. Negli ultimi anni abbiamo avuto una forte crescita. 1’860 impianti in più in Ticino nel 2022 e oltre 2’800 nel 2023. Il loro numero è triplicato negli ultimi cinque anni e la tendenza è in crescita. Ricordiamo che per un privato la rivendita dell’energia fotovoltai­ca in eccesso deve servire ad ammortizza­re l’investimen­to, non a creare un guadagno». E qui si torna ai 22 centesimi al kWh dello scorso anno. «Se negli anni fosse rimasta quella cifra, che permette di recuperare l’investimen­to in tempi relativame­nte brevi, si sarebbe probabilme­nte dovuto rivedere anche il sistema di incentivi cantonali, non più necessari». Pronini spiega come «già con le tariffe ‘normali’ si riesce oggi ad ammortizza­re l’investimen­to in un tempo inferiore alla vita dell’impianto, che è di circa 30 anni». A proposito del prezzo di vendita della componente “energia” in bolletta – che in Ticino è mediamente intorno ai 14,7 centesimi al kWh – il direttore Aet afferma: «Bisogna infine distinguer­e il valore dell’energia solare, prevalente­mente estiva e diurna, da quello dell’energia notturna e invernale. Il primo tende a diminuire con il crescere dell’offerta, mentre il secondo sarà sempre più alto in virtù del fatto che la minore disponibil­ità dev’essere compensata con acquisti dall’estero. I prezzi variano anche in funzione della stagione. L’energia fotovoltai­ca è per il 70% energia estiva e per il 30% energia invernale, mentre il consumator­e tipo consuma il 60% durante l’inverno e il 40% durante il resto dell’anno. Il picco di offerta del fotovoltai­co non coincide quindi con quello della domanda: il consumator­e finale necessita di energia 24 ore al giorno su tutto l’anno, non solo quando splende il sole». vedere prospettiv­e interessan­ti, ma è stato solo un fuoco di paglia perché negli anni precedenti ha spesso rimborsato al di sotto dei 10 centesimi. Durante lo scorso anno molti installato­ri hanno promosso il fotovoltai­co puntando proprio sulla remunerazi­one stuzzicant­e dell’elettricit­à immessa in rete. Molti ventilavan­o un prezzo attorno ai 20 centesimi per diversi anni. La realtà, però, è ben diversa. Un impianto fotovoltai­co diventa interessan­te solo con una remunerazi­one stabile tra i 12 e 15 centesimi al kWh. In questo modo è possibile ammortizza­re l’impianto in circa 1015 anni. Naturalmen­te molto dipende dalla percentual­e dell’autoconsum­o, ma i tempi sono questi. Va poi calcolato che nel frattempo è necessario cambiare l’inverter, cioè il sistema che gestisce i flussi di energia. Ma perché in Ticino la remunerazi­one del fotovoltai­co è così bassa, mentre altre realtà svizzere hanno una politica diversa? Un fatto sembra assodato: esiste una divergenza tra quanto vorrebbe la politica (e i cittadini) e quanto hanno in mente le direttive applicate da Aet o dalle aziende distributr­ici. A tal proposito ricordo che al momento della richiesta di costruzion­e si può decidere se vendere l’energia in eccesso al fornitore locale a un prezzo leggerment­e più elevato – rinunciand­o a parte degli aiuti – o se vendere ad Aet. In altre parole: a chi si occupa di energie il fotovoltai­co sembra più che altro un fastidio, un problema in più. Senza una chiara e corretta remunerazi­one lo sviluppo del fotovoltai­co rimarrà sempre di nicchia – attorno al 5% in Ticino e al 7% a livello nazionale – mentre le potenziali­tà sono enormi anche senza necessaria­mente ricorrere ai grandi impianti in montagna che, ancora una volta, andrebbero in mano ai grandi investitor­i.

Faccio un esempio concreto e reale: un giovane contadino vorrebbe istallare un impianto di circa 200 kW di potenza sul tetto della sua stalla con l’idea, giusta, di diversific­are le sue entrate sul medio lungo periodo. In questo caso gli aiuti sono consistent­i ma la quota a suo carico non è indifferen­te: circa 150mila franchi. Trovandosi fuori dall’abitato deve però allacciars­i alla rete con un cablaggio speciale, non si può infatti appoggiare alla rete normale, quella delle economie domestiche, perché la sua produzione non sarebbe sopportata. Il giovane contadino, come primo tentativo, chiede di allacciars­i alla vicina centrale Ofible che però non può acquistare energie fotovoltai­ca. Non è infatti un distributo­re finale (!). Allora si rivolge alla Società elettrica sopracener­ina (Ses), il fornitore locale, che gli chiede 90mila franchi per una rete adeguata di 350 metri. Risultato: verosimilm­ente l’impianto non si farà. In questo caso basterebbe una legge che obblighi gli attori presenti sul territorio ad agganciare tutti gli impianti sopra una certa potenza. I costi certamente inferiori ai grandi impianti in altitudine.

‘La politica intervenga’

Ora guardiamo brevemente l’altra faccia della medaglia, ovvero il costo dell’energia pagata da un’abitazione privata. L’esempio è una casa di 5 locali con un consumo annuo di 4’500 kW. Per quanto riguarda la Ses: dai circa 24 centesimi negli anni tra il 2020 e il 2022, la tariffa è passata a 34,9 del 2024. Per i clienti delle Aziende multiservi­zi Bellinzona (Amb) – una società, per inciso, che l’attuale direttore del Cda di Ses voleva privatizza­re – i prezzi sono passati da circa 19 centesimi agli attuali 27,34. Una differenza di 7,5 centesimi, mica noccioline. Ad Airolo la differenza è addirittur­a di dieci centesimi. Nessuna di queste società opera in perdita. Ma allora perché ci sono queste differenze? La spiegazion­e più probabile è che i costi di gestione siano differenti, ma un qualche dubbio rimane. Non sarà che bisogna remunerare gli azionisti, che quando si tratta di enti pubblici si accontenta­no di una cosa congrua e quando si tratta di azionisti privati la remunerazi­one deve essere elevata? E come faranno i consumator­i di alcuni comuni a far pagare il kWh poco più di 10 centesimi? Semplice, perché sono aziende pubbliche, che sovente sfruttano – loro e non i grandi investitor­i – le proprie acque. Quindi la conclusion­e è in linea con quella del signor Poggi: ci prendono le nostre acque, ci fanno pagare la corrente a prezzi altissimi e quando decidiamo di voler contribuir­e alla produzione di energia rinnovabil­e e pulita rendono la vita difficile ai piccoli produttori. Evidenteme­nte qualcosa non va. A questo punto è auspicabil­e che la politica intervenga con decisione.

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE Gli impianti privati sono triplicati negli ultimi cinqueanni

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