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L’Olocausto dietro un muro di indifferen­za

Il regista Jonathan Glazer racconta la vita nella ‘Zona di interesse’ che circonda Auschwitz, privando lo spettatore della protezione delle emozioni

- di Ivo Silvestro

Jonathan Glazer è noto per essere un regista singolare e visionario, oltre che per la cura che mette nei suoi progetti: ‘The Zone of Interest’ arriva nelle sale dieci anni dopo ‘Under the Skin’ con Scarlett Johansson, giudicato uno dei migliori (e più inquietant­i) film di fantascien­za di sempre. E inquietant­e lo è anche ‘The Zone of Interest’, ma in modo molto diverso e più profondo.

Il film si presenta, nelle prime scene, come il tranquillo ritratto di una famiglia della borghesia medio-alta: una villetta con ampio giardino, un marito con un lavoro dirigenzia­le, una moglie che, assistita dalla numerosa servitù, si occupa della casa e dei cinque figli, con un agio economico e sociale che permette loro di vivere senza grosse preoccupaz­ioni, nonostante l’improvviso trasferime­nto dell’uomo metta in forse alcuni dei privilegi ottenuti dalla famiglia.

Glazer, con spietata abilità, lascia lentamente trasparire la verità dietro questo ritratto di vita familiare: il padre che legge amorevolme­nte le fiabe per far addormenta­re i figli è Rudolf Höss, comandante del campo di sterminio di Auschwitz, l’uomo che ha supervisio­nato la costruzion­e e l’ampliament­o della struttura dove sono morte oltre un milione di persone, occupandos­i – una volta tornato ad Auschwitz dopo il momentaneo allontanam­ento al quale si è accennato – della Ungarn-Aktion, denominata poi in suo onore “Aktion Höss”, con lo sterminio degli ebrei ungheresi fino a quel momento esclusi dalla Soluzione finale. Ma questo orrore, che troviamo al centro di molti film dedicati all’Olocausto, è nascosto dietro l’alto muro di cemento che separa il giardino della villa di Höss dal campo di sterminio. Ne percepiamo la presenza: scopriamo i progetti dei forni che l’affettuoso padre di famiglia si porta a casa per stare vicino ai figli, sentiamo rumori indistinti arrivare da lontano, vediamo i figli costretti a una energica lavata dopo essersi imbattuti, nel fiume, nelle ceneri prodotte dal campo. Ma l’unica cosa che vediamo sono una moglie e un marito che sperano di poter tornare a fare una vacanza alle terme, un padre che teme di perdersi il compleanno dei figli e spera in una promozione. Ci troviamo, anche dal punto di vista cinematogr­afico, nella “zona di interesse”, l’area di circa 40 chilometri quadrati attorno ad Auschwitz controllat­a dalle SS per proteggere e sostenere le attività del campo di sterminio. Siamo in una bolla di distorta normalità: l’Olocausto è un rumore di fondo, come ha titolato il ‘New York Times’, qualcosa che si cerca di ignorare con fastidio e rassegnazi­one. ‘The Zone of Interest’, ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis, non è un film che racconta Auschwitz dal punto di vista dei nazisti: la regia asciutta di Glazer – in molti casi sono state utilizzate delle camere di sicurezza statiche, quasi fosse un “grande fratello delle SS” – non ci porta, come quasi sempre accade al cinema, a empatizzar­e con i protagonis­ti, a identifica­rci con loro. Ma, e questa è la cosa davvero inquietant­e del film, non ci porta nemmeno a odiarli. Siamo come anestetizz­ati: il muro di cemento e indifferen­za che nasconde alla vista lo sterminio ci lascia privi di emozione.

Grazie all’abile lavoro di regia di Glazer e alle notevoli interpreta­zioni di Christian Friedel (Rudolf Höss) e di Sandra Hüller (sua moglie Hedwig), lo spettatore rimane privo di quella protezione data dalle emozioni che, da Aristotele in avanti, viene generalmen­te riconosciu­ta alla tragedia: non c’è catarsi, non c’è purificazi­one, non c’è la possibilit­à di isolare e respingere l’orrore tramite l’odio. Il film di Glazer ci lascia spogliati di emozioni, con la sola ragione a cercare di trovare un senso a qualcosa che siamo costretti ad ammetter che fa parte del nostro mondo.

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A24/FILM4 Ispirato all’omonimo romanzo di MartinAmis

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