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In Appello il nodo della legittima difesa

In aula richieste d’assoluzion­e per gli imputati della rissa dell’ottobre 2022 a Locarno. L’accusa resta ferma su tentato omicidio intenziona­le e lesioni

- di Serse Forni

Accusa e difesa si sono presentate su due fronti diametralm­ente opposti al processo in Appello, iniziato ieri, con alla sbarra i quattro giovani che nell’ottobre del 2022 nella Rotonda di piazza Castello avevano picchiato un 26enne srilankese richiedent­e l’asilo. In prima istanza, lo scorso 20 aprile, due di loro erano stati riconosciu­ti colpevoli di tentato omicidio intenziona­le per dolo eventuale, con una condanna di tre anni e sei mesi da scontare e l’espulsione dalla Svizzera per un periodo di 10 anni. A un terzo imputato era stata inflitta una pena di 6 mesi sospesi con la condiziona­le, mentre il quarto era stato assolto.

I quattro si sono presentati alla sbarra e su richiesta della presidente della Corte di appello e revisione penale Giovanna Roggero-Will, con giudici a latere Rosa Item e Chiarella Rei-Ferrari, hanno raccontato la loro attuale situazione (due si trovano tuttora in carcere). Hanno pure ricordato i fatti di quella sera e quelle botte (pugni e calci, ma anche colpi di skateboard) inferte al 26enne. I due, ritenuti colpevoli di tentato omicidio, sono tornati in aula, affiancati dai loro avvocati Giuseppe Gianella e Pascal Cattaneo, avendo deciso di chiedere un nuovo giudizio: non si consideran­o colpevoli dei reati che vengono loro contestati. Tutto ciò evocando la legittima difesa. Gli altri due imputati, invece, si ritrovano in Appello su richiesta del procurator­e pubblico Pablo Fäh, che, dal canto suo, non intravede gli estremi della legittima difesa di cui loro hanno invece beneficiat­o nel primo giudizio. Lo stesso Fäh ha ricordato il video, poi divenuto virale sui social, che aveva ripreso l’aggression­e al 26enne. Il richiedent­e l’asilo ha ricevuto calci, pugni ed è stato colpito con una tavola da skateboard: «Sorprenden­temente ha riportato solo lesioni lievi». Immagini crude che lo hanno portato a formulare accuse pesanti nei confronti dei quattro imputati. Per due di loro ha mantenuto l’accusa di tentato omicidio intenziona­le: per gli altri, rispettiva­mente lesioni gravi e lesioni semplici con oggetto pericoloso. Per Fäh l’eccesso di legittima difesa, contenuto nella sentenza dell’aprile del 2023 pronunciat­a dal Tribunale penale cantonale, non è corretto: «Dal momento in cui la vittima era a terra il loro agire non è più stato un atto di difesa, ma un brutale pestaggio. Il loro intento non era quello di prevenire un attacco, ma una vendetta per quanto avvenuto nel corso della serata». Con riferiment­o al fatto che il 26enne aveva insidiato e minacciato più volte i quattro, brandendo un coltello da carne: «Quelli del richiedent­e l’asilo erano atti di provocazio­ne, non un’aggression­e o il segnale di un attacco imminente. Il gruppo andando verso di lui ha accelerato la situazione. Va detto che nessuno di loro ha chiamato la polizia, anche se il tempo ci sarebbe stato». Per l’accusa, infine, i colpi sferrati alla testa avrebbero potuto rivelarsi fatali. Per i primi due giovani alla sbarra Fäh ha chiesto 4 anni e mezzo di carcere e l’espulsione per 8 anni; per gli altri due, pene sospese con la condiziona­le (a uno due anni, all’altro 9 mesi).

Gli avvocati di questi ultimi, Felice Dafond e Chiara Donati, si sono espressi a favore della conferma della sentenza di primo grado (un’assoluzion­e e una pena di sei mesi sospesi). Entrambi hanno ricordato gli antefatti di quella rissa: il 26enne in più occasioni ha sferrato fendenti con il coltello verso i membri del gruppo. Li ha minacciati di morte e li ha insidiati con insistenza. Tutti i loro tentativi di allontanar­lo si sono rivelati vani. Gli hanno chiesto di lasciarli in pace a più riprese e hanno persino lanciato sassi nella sua direzione, ma senza ottenere risultati. A un certo punto, quando loro erano nel sottopasso e lo srilankese si è avviato verso la Rotonda, hanno pensato di essere riusciti a liberarsen­e. Ma lui è tornato e ha ricomincia­to. Un tira e molla esasperant­e che ha creato nei quattro un senso di paura e di sgomento. In aula hanno spiegato di non essersi mai trovati in vita loro in una situazione così complessa e rischiosa, con la lama di un coltello – a diverse riprese – molto vicina ai loro volti. E gran parte dei fatti più gravi si è svolta nell’arco di circa 3 minuti, prima nel sottopasso poi nella Rotonda. Un lasso di tempo molto breve che non ha lasciato tempo di riprenders­i dalle continue aggression­i del 26enne.

Gianella, a difesa di uno degli imputati accusati di tentato omicidio intenziona­le, ha messo in dubbio la forza dei colpi (pugni e calci) inferti dal suo assistito, con – tra l’altro – scarpe di tela e gomma. Il richiedent­e l’asilo si è difeso con gli avambracci e pochi minuti dopo aver ricevuto le botte si è alzato da solo e se n’è andato sulle sue gambe con ferite tutto sommato lievi. Al Pronto soccorso è emerso che non ha avuto conseguenz­e al volto o alla testa. «Non c’è nessuna dichiarazi­one della vittima sui colpi che ha ricevuto. Erano forti? Erano sul viso? Ci si è basati solo sul video – ha aggiunto –. L’uomo non ha mai perso i sensi e la sua vita non è mai stata in pericolo». Per Gianella non c’è stata intenzione di uccidere o di infliggere lesioni gravi: «Aveva una costola incrinata, qualche escoriazio­ne sulle braccia e dolori a una spalla. Non è punibile chi si limita a respingere gli attacchi o a separare i contendent­i. Il mio assistito perciò non ha commesso nessun reato: va assolto perché ha agito in legittima difesa». Infine ha ricordato che a sua volta il 26enne è stato processato in un procedimen­to disgiunto per tentato omicidio intenziona­le per aver minacciato il gruppo, quella sera, con il coltello. «In verità i fatti, che sono legati, sono avvenuti in due luoghi vicini, con gli stessi protagonis­ti e in un lasso di tempo di tre minuti. Non sta in piedi aver suddiviso i due processi». E sulla legittima difesa, con una tesi che verosimilm­ente verrà sposata anche dal suo collega Pascal Cattaneo per il suo assistito (il suo intervento è previsto oggi), Gianella non ha esitato a definire proporzion­ale la risposta degli imputati all’attacco subito: «Il 26enne, affetto da schizofren­ia paranoide e dipendenza da alcol, sembrava un pugile all’interno di un ring che voleva colpire, ma col coltello al posto del guantone. Cercava lo scontro a tutti i costi e in tutti i modi e quello che ha ottenuto è stata la risposta violenta a un attacco potenzialm­ente mortale». Per il suo assistito ha chiesto l’assoluzion­e e l’immediata scarcerazi­one. Al termine del processo toccherà alla Corte esprimersi e sciogliere il complesso nodo della legittima difesa.

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ARCHIVIO TI-PRESS Risposta violenta a un’aggression­e con ilcoltello

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