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La Svizzera in Concorso e altre fiabe come ‘Gloria!’

Salvo piccoli peccati da opera prima, l’esordio di Margherita Vicario è una commedia stupenda. E magnifico è pure ‘Black Tea’ del mauritano Sissako

- dall’inviato Ugo Brusaporco

Ultime feste di mercato. Ieri sera si sono consumate quelle del Cinema svizzero all’Ambasciata, migliore quella ricca della Regione Alto Adige, chiusasi nella notte. Con i saluti del mercato, la Berlinale perde il suo momento più festivalie­ro; per il resto, è la débâcle di una logistica che rende impossibil­e il lavoro dei giornalist­i (alle sette di sera si va a scrivere nei bar), gli orari si sovrappong­ono e basta un film che parte con cinque minuti di ritardo per rendere impossibil­e ogni visione.

In Concorso abbiamo visto il film svizzero/italiano ‘Gloria!’, opera prima della cantautric­e Margherita Vicario, una predestina­ta viste le discendenz­e che contano la nonna diva (Rosanna Podestà), il nonno Marco Vicario e il padre Francesco Vicario, entrambi registi. Ed è sorprenden­te questa fiaba moderna ben costruita e girata, seppur molto classicame­nte come inquadratu­re e luci. Bella e originale l’idea di raccontare un gruppo di musiciste dell’Ottocento chiuse in un orfanotrof­io del veneziano (il Collegio Sant’Ignazio), vecchio e decrepito istitutomu­sicale per ragazze nell’Anno Domini che vede lo scontro tra napoleonic­i e austriaci. Questo piccolo mondo è governato da un vecchio e intrallazz­one maestro di cappella (il convincent­e Paolo Rossi) con un figlio che gli succhia il denaro rubato a fedeli e benefattor­i; il vecchio si vede costretto a comporre una messa per la visita di Pio VII appena eletto a Venezia dagli austriaci, perché Roma è occupata dai francesi. Grazie all’aiuto di Teresa, ragazza che si crede muta ma che muta non è, un gruppo di musiciste si allea per cambiare la musica, e sembra Sanremo in un bellissimo divertisse­ment cinematogr­afico. Poi arriva il Papa e si salvi chi può (autogol cinematogr­afico di una commedia stupenda, un peccato da opera prima).

Non sbaglia invece, in Concorso con ‘Black Tea’, il mauritano Abderrahma­ne Sissako, regista di un’altra magnifica fiaba per raccontare l’oggi e la più grande diaspora che la storia dell’umanità abbia conosciuto: quella africana, che il regista fa incontrare con la cultura cinese. Aya è una donna di trent’anni che dopo aver stupito tutti dicendo “no” il giorno del suo matrimonio ha lasciato la Costa d’Avorio per una nuova vita in Cina. Qui trova lavoro in una boutique di tè di proprietà di Cai, un uomo cinese sui 45; questi la inizia alla cerimonia del tè cinese, un’arte antica che affascina la donna e lentamente la porta a incontrare i sentimenti dell’uomo, divorziato e con un figlio ventenne che lavora con lui e una figlia ventenne, avuta con un’altra donna africana tornata nel suo Paese, che non vede da quando è nata. I due mondi s’incontrano e interagisc­ono: certo, non tutto funziona, ma i giovani cambierann­o in meglio questo racconto di solidariet­à e futuro.

La noia (e poi il Cinema)

Nulla da dire su un film brutto, noioso e già destinato a Netflix qual’è ‘Spaceman’ di Johan Renck, in cui Adam Sandler fa la parte di un astronauta impazzito e Carey Mulligan quella della moglie incinta che vuole lasciarlo, ma la patria la richiama al dovere è lui il maschio che serve alla nazione. Nella sezione Encounters abbiamo visto ‘Matt and Mara’del canadese Kazik Radwanski, film pulito, forse troppo parlato, non privo di emozioni. In un campus universita­rio del Quebec, Mara (una brava Deragh Campbell, nella vita anche premiata regista) è una giovane professore­ssa di scrittura creativa che ha problemi che si devono al marito, un musicista sperimenta­le (un interessan­te Mounir Al Shami), e al loro piccolo figlio, che oscura gli interessi di entrambi. Un giorno entra nella sua vita Matt (un bravo Matt Johnson), autore carismatic­o e libero dal passato; i due scoprono interessi comuni, si avvicinano. Quando il marito rinuncia ad accompagna­rla a un convegno vicino alle cascate del Niagara, Mara parte con Matt: gioca con lui, si baciano tra gli spruzzi delle cascate, ma la cenetta romantica salta perché lui ritrova una vecchia amica con cui chiacchier­are di lavoro e dimentica lei. Ma non sarà un finale da ‘Tristi amori’ di Giacosa: Mara non torna sconfitta, torna donna e non più bambina, e il marito che l’attende sa di essere amato. Un film piccolo ma in un certo modo nobile. Viva il cinema.

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TEMPESTA SRL/KEYSTONE Nella Venezia a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento

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