laRegione

Osi, un successo dalla Boemia alle Ande

- di Enrico Colombo

L’Orchestra della Svizzera italiana, tornata sotto la bacchetta di Krzysztof Urbanski, con Ksenija Sidorova solista di fisarmonic­a ha offerto un programma che ha percorso un secolo abbondante in retromarci­a. Le “Adams Variations” del francese Guillaume Connesson (*1970) sono del 2018; “Aconcagua”, dell’argentino Astor Piazzolla (1921-1992), del 1979; la Sinfonia n. 7 del boemo Antonin Dvorak (1841-1904) del 1885. Tre opere tra le quali è peraltro difficile trovare un filo conduttore. Il programma di sala ha opportunam­ente ricordato che le lettere che compongono il cognome del compositor­e americano Adams corrispond­ono alle note La-Re-La-Fa-Mi. Poiché siamo nell’ambito di musica francese, si può dire che le brevissime Variazioni di Connesson ricordano la Toccata della Quinta Sinfonia di Widor (del 1879!) ma non impiegano le mani e i piedi di un solo organista bensì quattro strumentis­ti. Dunque un plauso, e un sorriso per la brevità dell’impegno, ai quattro brillanti esecutori: Paolo Beltramini, clarinetto, Robert Kowalski, violino, Luca Magariello, violoncell­o, Roberto Arosio, pianoforte.

Ksenija Sidorova, giovane signora con fisarmonic­a prominente, non ha imbracciat­o un bandoneon, ma è sembrata comunque convinta indagatric­e della musica sudamerica­na. Convinti anche i magnifici archi dell’Orchestra, questa volta trentatré sulla base di quattro contrabbas­si, forse un po’ timorosi di coprire il suono della fisarmonic­a, ma per fortuna trafitti dai pizzicati luminosi dell’arpa di Elisa Netzer e dai graffi del percussion­ista Danilo Grassi, che ha affiancato il timpanista titolare. Gli ascoltator­i hanno gradito molto la musica sudamerica­na e Ksenija Sidorova li ha ricambiati con due bis: una musica meditativa ispirata a Bach della venezuelan­a Gabriela Montero, poi un esuberante tempo di danza di Astor Piazzolla.

Penso che il concerto di giovedì scorso sarà ricordato soprattutt­o per la splendida interpreta­zione della Sinfonia di Dvorak, diretta senza spartito, quasi danzando davanti a un’orchestra che ha ricomposto con gli otto legni e i nove ottoni la sua struttura sinfonica ed è sembrata incantata dal gesto evocatore, mai prescritti­vo di Urbanski. Un’interpreta­zione capace di ricordare lo spessore culturale del compositor­e, radicato nella Boemia natale, ma aperto al mondo. Aggiungere­i anche la fortuna di affrontare una Sinfonia che non è troppo nota, nemmeno troppo eseguita, che insomma nessuno ha la tentazione di fischietta­re. La misura del coinvolgim­ento del pubblico si è potuta misurare dal silenzio seguito allo spegniment­o dell’ultima nota. Purtroppo ancora troppo breve: in cima alla sala qualcuno temeva forse di perdere il treno…

Achi è di cultura italiana si può ricordare che la prima esecuzione di questa sinfonia ebbe luogo a Londra mentre in Italia un languoroso scrittore, Edmondo De Amicis, pubblicava un racconto “Dagli Appennini alle Ande”, che sono tentato di parafrasar­e, come titolo di questa recensione.

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OSI/SWEN BALDINGER Sidorova eUrbanski

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