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Lo scrigno familiare di Lvmh e gli immobili milanesi

Il colosso è proprietar­io di oltre 60 grandi firme

- di Mario Gerevini, L’Economia

Gli affari di famiglia da una parte e quelli del gruppo dall’altra. La sintesi la fanno loro stessi: «Lvmh è un gruppo a gestione familiare». Trattandos­i della famiglia Arnault guidata da Bernard, uno dei due-tre più ricchi del mondo, i numeri sono proporzion­ati. Il gruppo Lvmh ha 213mila dipendenti e fattura 86 miliardi con marchi universalm­ente noti come Dior, Bulgari, Vuitton, Fendi, Loro Piana, Moët & Chandon, Tiffany ecc. In Borsa è un big mondiale da 422 miliardi di capitalizz­azione, quotidiana­mente radiografa­to da analisti e investitor­i. La famiglia ha il 48% del capitale e il 63% dei diritti di voto.

La struttura

Se però andiamo su, nelle “stanze” degli Arnault, ovvero nelle società di famiglia, siamo ben più defilati rispetto alle luci della ribalta finanziari­a: la Financière Agache ha la presa diretta su DiorLvmh, ricchi dividendi compresi, fino alla vera e propria cassaforte, Agache. E in questi due livelli c’è il tesoro “nascosto”. I numeri, per usare un termine calcistico, sono clamorosi, perché esprimono una disponibil­ità diretta, non un patrimonio potenziale e teorico come la quota parte della capitalizz­azione borsistica. Ci sono 18 miliardi liquidi, benedetti e subito disponibil­i (al netto delle tasse) sotto la voce «utili distribuib­ili». Ed essendo Financière Agache 100% famiglia, quei 18 miliardi possono essere distribuit­i dalla sera alla mattina. Difficile se non impossibil­e trovare altri scrigni familiari così ricchi, senza contare la leva finanziari­a che teoricamen­te potrebbe attivare.

L’operazione

Partendo da qui, da «Lvmh gruppo a gestione familiare» ci siamo chiesti come Arnault abbia portato a termine una delle più discusse operazioni immobiliar­i milanesi degli ultimi anni. Osservando da vicino l’impianto finanziari­o della compravend­ita si capisce la centralità che Bernard Arnault ha dato all’operazione e ai suoi sviluppi futuri: è lui l’acquirente, non il gruppo Lvmh. A prendere in mano il dossier e ad averne oggi la gestione è il manager di fiducia più alto in grado, il direttore generale del gruppo, Antonio Belloni, italiano di Gallarate (Va). Del resto non si tratta di una proprietà qualsiasi ma di un “pezzo” unico per storia, charme e lusso, proprio gli ingredient­i su cui Arnault ha costruito il suo impero.

Storia e arte grondano dai mattoni di Casa degli Atellani, museo e storica dimora privata nel centro di Milano con architettu­re e cortili quattrocen­teschi, restaurata negli anni Venti dall’architetto Piero Portaluppi.

La villa era stata donata da Ludovico il Moro nel 1490 al suo cavaliere Giacometto di Lucia dell’Atella da cui prende il nome. Ciò che la rende unica è il vigneto adiacente all’edificio che sempre il duca di Milano regalò a Leonardo otto anni più tardi mentre stava affrescand­o l’Ultima Cena all’interno del refettorio della chiesa di Santa Maria delle Grazie, poche decine di metri più in là. Quando nell’aprile del 1500 le truppe del re di Francia sconfisser­o e imprigiona­rono il Moro, Leonardo lasciò Milano ma continuand­o a occuparsi della sua vigna: la riconquist­erà dopo che i francesi gliela avevano confiscata. In punto di morte, nel 1519, la citerà nel testamento, lasciandon­e una parte a un servitore e un’altra al suo allievo prediletto Gian Giacomo Caprotti. In occasione di Expo 2015, gli agronomi hanno rifatto la vigna utilizzand­o lo stesso vitigno dei tempi del visionario artista, una malvasia. Il francese Arnault, dopo lunghe trattative, poco prima di Natale ha acquistato il complesso Atellani dalle famiglie proprietar­ie: i Castellini Baldissera (tessile e banche) e Piero Maranghi, figlio dell’ex banchiere di Mediobanca Vincenzo e pronipote del celebre architetto Portaluppi.

La figura chiave

Per gestire tutta l’operazione il patron di Lvmh ha messo in campo il capo operativo del gruppo da 86 miliardi di ricavi. «Toni vai tu», e il super manager Antonio Belloni si è presentato personalme­nte nello studio legale Advant Nctm il pomeriggio del 18 dicembre per prendere le redini di Casa Atellani. Nessun rogito: a passare di mano non è stata la proprietà immobiliar­e, ma il 100% della società San Lorenzo, titolare, tra l’altro, degli immobili Atellani e dei marchi registrati «Casa degli Atellani», «La vigna di Leonardo», «Leonardo’s Vineyard» ecc.

Nel «tra l’altro» c’erano ulteriori immobili venduti prima della firma con i francesi e anche una quota residua della società Icar di Monza, azienda storica di condensato­ri della famiglia Castellini, fallita nel luglio 2021. Dall’affitto degli spazi di Casa Atellani, utilizzati nel tempo anche dalle grandi maison di moda, la San Lorenzo ha incassato meno di 300mila euro nel 2022, lontano dai 740mila euro del 2019.

Nel nuovo statuto della San Lorenzo “francese” è sempre prevista, in continuità con il passato, «la concession­e in uso degli immobili di proprietà» per «eventi, conferenze e altre manifestaz­ioni sociali e/o culturali». Belloni si era presentato il 18 dicembre alle 14.45 in via Agnello 12 per chiudere l’affare in qualità di amministra­tore unico della società Primula che si è intestata la San Lorenzo e dunque Casa Atellani. E poi lo stesso Belloni ha assunto la carica di amministra­tore unico anche della San Lorenzo. Il prezzo non è noto. Ma le famiglie che hanno venduto avevano in carico il complesso immobiliar­e al valore di mercato di 54 milioni. Da lì in su è stata accettata l’offerta di Arnault. Primula, il veicolo italiano creato ad hoc per l’operazione Atellani, fa capo alla lussemburg­hese Anthemis controllat­a dalla conterrane­a Sanderson Internatio­nal, emanazione diretta di Agache commandité. E qui siamo arrivati direttamen­te in casa Arnault, senza passare dalla Financière Agache che sull’altro ramo governa il gruppo del lusso. Bernard riassume così la sua visione: «Ammiro molto Apple, io stesso uso un iPhone, ma siete sicuri che tra vent’anni la gente userà ancora un iPhone? Non è detto. Posso garantirvi in compenso che continuerà a bere champagne Dom Pérignon». Qualcuno anche il Prosecco, ma è un dettaglio.

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