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I primi passi di un organismo diverso da tutti gli altri

Prende forma l’Istituzion­e svizzera per i diritti umani. Il punto della situazione con la presidente Raphaela Cueni e il direttore Stefan Schlegel

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Stefano Guerra da Berna

Signora Cueni, signor Schlegel, l’Istituzion­e svizzera per i diritti umani (Isdu) esiste da nove mesi: a che punto siete? Cueni:

Quando l’Isdu è stato fondato, non avevamo infrastrut­tura, né collaborat­ori, tantomeno una strategia. Siamo ancora occupati in buona parte con questi aspetti: preparare gli uffici [a Friburgo, ndr], realizzare il sitoweb [l’Isdu è da ieri ufficialme­nte online, ndr], abbozzare una strategia. Nel frattempo abbiamo allacciato contatti con i molti attori, pubblici e privati, che si occupano a vario titolo di diritti umani, in Svizzera e all’estero.

Siamo in una fase transitori­a. Cominciamo a porre le basi della nostra strategia, individuia­mo i primi dossier tematici. Cerchiamo di tessere una rete di contatti: con i Cantoni, i Comuni, l’Amministra­zione federale, il Parlamento, le organizzaz­ioni non governativ­e (Ong). Il volto dell’Isdu prende forma. Abbiamo un mandato molto ampio e poche risorse: dovremo quindi agire in maniera mirata, definire delle priorità, ben pianificar­e le nostre attività.

Schlegel: Quali sono i “primi dossier tematici”? Schlegel:

Abbiamo ad esempio conferito un mandato per capire quali sfide si pongono a livello di attuazione, da parte della Svizzera, delle raccomanda­zioni riguardant­i le convenzion­i in materia di diritti umani del Consiglio d’Europa e dell’Onu. E stiamo prendendo parte a una consultazi­one riguardant­e il tema dei diritti dell’infanzia.

Il Consiglio federale ha parlato di un “momento storico”, di una “pietra miliare”. Perché lo è? Schlegel:

Ci sono voluti ben 23 anni, costellati di alti e bassi, perché l’istituzion­e vedesse la luce. In questo lasso di tempo, più di una volta qualcuno ha creduto che non saremmo mai arrivati a una. E poi l’Isdu è stata voluta dal Parlamento proprio perché possa svolgere un ruolo centrale nell’ambito dei diritti umani in Svizzera, e incidere sul modo in cui la Confederaz­ione viene percepita all’estero.

La Svizzera arriva con notevole ritardo. Cueni:

Sì, è così. Abbiamo aderito all’Onu solo nel 2002. Ed è risaputo che da noi i processi politici di regola durano più a lungo. Questo ritardo però è al contempo un vantaggio: possiamo imparare dagli altri, ispirarci a chi ha già accumulato esperienza in questioni che interessan­o anche noi. Al momento siamo in stretto contatto con la nostra contropart­e tedesca e con organismi analoghi in altri Paesi. Lo scambio di informazio­ni [ad esempio in seno alla rete europea European Network of National Human Rights Institutio­ns, di cui l’Isdu fa parte: ndr] è costante.

In Svizzera parecchie Ong si occupano di diritti umani. Non rischiate di pestarvi i piedi? Cueni:

È vero: gli attori in gioco, Ong e no, sono molti. I temi sono gli stessi, è inevitabil­e che le attività in parte si sovrappong­ano. L’importante è che ci si parli. E comunque i ruoli sono differenti. L’Isdu si caratteriz­za per il fatto di essere una istituzion­e statale, finanziata in primo luogo da Confederaz­ione e Cantoni, benché sia del tutto indipenden­te per quanto riguarda le decisioni in merito alle priorità di lavoro e all’impiego delle risorse. Anche per questa ragione l’Isdu potrà assumere un ruolo di mediatore fra diversi organismi. Oppure potrà dare una mano alle autorità cantonali ad applicare una determinat­a disposizio­ne che ha a che vedere con i diritti umani.

Questa funzione di ponte va sottolinea­ta. Vedo poi un altro importante ruolo per l’Isdu, che non può essere quello di una Ong: ‘armonizzar­e’,‘tradurre’ i discorsi sui diritti umani, a volte non coincident­i, che vengono fatti su diversi piani, sia in Svizzera che in svariati gremi internazio­nali.

Schlegel: I Principi di Parigi [vedi box] prevedono, tra le altre cose, “un ampio mandato per proteggere e promuovere tutti i diritti umani”. Questa condizione è soddisfatt­a nel caso dell’Isdu? Schlegel:

Sì. Questa è una caratteris­tica distintiva dell’Isdu, qualcosa che la rende diversa da quasi tutte le Ong e da altri attori del sistema.

La legge ha affidato all’Isdu un vasto mandato, in linea con i Principi di Parigi. Il problema è che, con i mezzi di cui disponiamo, al momento l’Isdu di fatto non può adempiere completame­nte questo ampio mandato. Ma esistiamo solo da nove mesi [ride].

Cueni: L’Isdu appunto non è una Ong, non è Amnesty Internatio­nal. Il Parlamento non le ha affidato il mandato di occuparsi di denunce individual­i. Un handicap importante.

Cueni:

È sicurament­e una limitazion­e importante. Soprattutt­o a livello di percezione da parte del pubblico. Molte persone che sin qui non sapevano a chi rivolgersi, ora potrebbero dirsi: “Mi rivolgo all’Isdu”. A quel punto noi dovremo spiegare che non possiamo assumere il loro caso, presentare un ricorso. Ciò non significa che dovremo ignorare i singoli casi. Spesso questi rivelano un problema più o meno diffuso, che noi come Isdu potremo tematizzar­e.

Un accesso a bassa soglia a organismi che si occupano di diritti umani, senza che si arrivi ad adire le vie legali, colmerebbe una lacuna importante. Questo modello dell’‘ombudsman’ non ha mai davvero preso piede in Svizzera. Dal punto di vista della protezione dei diritti umani, è deplorevol­e che una simile lacuna continui a esistere.

Schlegel: Sottolinea­te spesso l’indipenden­za dell’Isdu. Non c’è invece il rischio di essere visti – in quanto istituzion­e statale – come un organismo non indipenden­te, non imparziale e meno incisivo rispetto alle Ong?

Cueni:

Non vedo alcun rischio inerente. Fondamenta­le, per un’istituzion­e come l’Isdu, è che vengano decise in maniera assolutame­nte indipenden­te le priorità di lavoro e l’impiego delle risorse. Questa indipenden­za esiste. In teoria, non è impossibil­e che si vincoli in modo più o meno netto il versamento dei contributi alle attività dell’Isdu. Ma a quel punto avremmo un problema con la legge, che sancisce il finanziame­nto pubblico dell’istituzion­e e al contempo la sua piena autonomia nel scegliere su quali temi concentrar­si e come spendere i soldi. Credo che di questa ‘barriera’ siano tutti consapevol­i.

“Partecipia­mo al dibattito politico”, si legge sul sito web dell’Isdu. In che misura l’istituzion­e svolgerà un ruolo politico? Schlegel:

Quando si parla di diritti dell’uomo, è praticamen­te impossibil­e essere apolitici. Gli stessi diritti umani sono un programma politico esplicito. Quello che come Isdu non faremo è prendere posizione durante le campagne di votazione, formulare raccomanda­zioni di voto. Non è il nostro ruolo. Per contro, prenderemo parte alle procedure di consultazi­one e, più in generale, al processo legislativ­o: dapprima nella preparazio­ne dei progetti a livello di amministra­zione federale, cantonale o persino comunale; quindi durante la fase parlamenta­re. Potremo ad esempio fornire consulenza alle autorità, oppure creare – nelle fasi iniziadi li di questo processo – un forum dove far confluire le diverse opinioni in gioco. L’Isdu potrà inoltre lanciare dei temi di cui nessuno ancora parla, in modo che diventino oggetto di pubblico dibattito.

‘Istituzion­e svizzera per i diritti umani’: suona quasi pomposo. Non rischiate di suscitare aspettativ­e eccessive? Cueni:

Avere aspettativ­e elevate è una buona cosa, purché si sia consapevol­i – e noi lo siamo – che non potranno essere tutte soddisfatt­e, o non potranno esserlo in un determinat­o lasso di tempo.

Il problema è che l’Isdu non potrà fare granché con poco più di un milione di franchi all’anno. Cueni:

Siamo al primo anno di vita, per il momento va bene così. In seguito però, per adempiere correttame­nte il mandato che ci è stato affidato, serviranno sicurament­e risorse supplement­ari. Spetta anche a noi mostrare cosa possiamo fare, e spiegare cosa dovremmo ancora fare dal nostro punto di vista.

“Le nostre risorse aumenteran­no”, si legge sul vostro sito. Su quale budget contate a medio termine?

Cueni:

Sarebbe azzardato avanzare cifre, a questo stadio. Durante i lavori preparator­i, alcune organizzaz­ioni avevano calcolato un budget di circa 5 milioni di franchi. Ma sarebbe un grosso passo.

Il nostro budget è di 1,3 milioni di franchi l’anno, per quattro anni. Dobbiamo essere realistici: in questo arco temporale non aumenterà; e sarà difficile che in seguito venga moltiplica­to per cinque. Il nostro compito sarà di mostrare cosa sappiamo fare, quale valore aggiunto porta con sé l’Isdu. Se sapremo convincere, non è escluso che prima o poi si possa crescere gradualmen­te.

Schlegel: Avete già definito priorità tematiche, per questi primi quattro anni? Cueni/Schlegel:

Schlegel:

No.

Dovremo fissarle in modo radicale. Sarà doloroso, ma inevitabil­e visti i limitati mezzi a disposizio­ne. Prima dei temi, ad ogni modo, è necessario definire la strategia. A questo stiamo lavorando.

I diritti umani “devono essere sviluppati dinamicame­nte in funzione degli sviluppi della società”, scrivete sul vostro sito. Di quali ‘nuovi’ diritti umani potreste occuparvi? Schlegel:

Più che di nuovi diritti umani, occorre sviluppare quelli esistenti, adattarli agli sviluppi della società, tecnologic­i, economici, ecologici e di altro tipo. L’esempio ‘ classico’ è quello dei diritti Lgbtq+, frutto dei mutamenti intervenut­i nella società negli ultimi decenni. Il sistema dei diritti umani – concepito verso la metà dello scorso secolo – non può non fornire una risposta a questa realtà recente.

Unaltro esempio: i diritti politici delle persone in situazione di handicap psichico o mentale. Fino a poco tempo fa le persone sottoposte a curatela generale erano escluse dai diritti politici, sia a livello federale che cantonale. Nel frattempo però ci sono stati sviluppi sul piano giuridico sul piano internazio­nale. Il canton Ginevra ha già legiferato in quest’ambito. Diversi altri Cantoni lo stanno facendo. E anche a livello federale le cose cambierann­o. Fra cinquant’anni ci chiederemo, come abbiamo fatto col diritto di voto alle donne: ma com’è stato possibile che questo diritto non venisse riconosciu­to?

Cueni:

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KEYSTONE I diritti delle persone Lgbtq+, esempio di come i diritti umani vadano a braccetto con i mutamenti della società
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