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Il 1968 fra politica, omicidi e strane partite di pallone

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Per ciò che concerne questa rubrica, però, quella di 56 anni fa fu soprattutt­o l’estate in cui andò in scena la terza edizione della Coppa delle nazioni europee, che proprio in quell’occasione mutò il nome in Campionato europeo Uefa. Organizzat­a dall’Italia, la kermesse manteneva la formula dei precedenti tornei, con solo quattro squadre partecipan­ti e altrettant­e partite in cartellone, anche se poi in realtà alla fine le gare furono cinque. La grande novità fu l’introduzio­ne del Telstar, iconica sfera la cui livrea a pentagoni neri ed esagoni bianchi garantiva migliore visibilità dal divano di casa: i palloni di cuoio grezzo usati fin lì, infatti, erano difficilme­nte distinguib­ili sugli schermi delle tv in bianco e nero.

Le semifinali ebbero luogo il 5 giugno, lo stesso giorno in cui a Roma l’ex partigiano Sandro Pertini diventava presidente della Camera, mentre nelle cucine dell’Ambassador Hotel di Los Angeles veniva assassinat­o Bob Kennedy, candidato democratic­o alla Casa Bianca, in uno degli eventi che segnarono a fuoco quell’anno fatto di rivoluzion­i e sogni spezzati.

A scendere in campo per prime, a Firenze, furono Jugoslavia e Inghilterr­a. I britannici, che partivano favoriti in quanto campioni del mondo in carica, furono sconfitti a sorpresa dai plavi. A segnare l’unica rete del match fu naturalmen­te Dragan Dzajic, attaccante della Stella Rossa che stava vivendo un momento magico: non a caso a fine stagione sarà terzo nel Pallone d’oro dietro il già citato Best e al divino Bobby Charlton.

La dea bendata

Italia e Unione Sovietica – campione nel 1960 e finalista 4 anni dopo – si affrontaro­no invece tre ore più tardi a Napoli. Parliamo di due squadre così applicate a livello tattico da chiudere una guerra di 120 minuti senza segnare nemmeno un gol. La cosiddetta lotteria dei rigori ancora non era stata inventata, e nemmeno ci sarebbe stato il tempo per ripetere l’incontro, com’era prassi in quell’epoca lontana. E così all’arbitro Tschensche­r, tedesco occidental­e, non restò che sfilare di tasca un marco e domandare ai due capitani di scegliere fra testa e croce. Pare una follia, ma davvero ci fu un tempo in cui a decidere il nome di una finalista veniva delegato il lancio della monetina.

Il sorteggio, davanti a pochissimi testimoni, ebbe luogo negli spogliatoi, mentre tutti gli altri giocatori aspettavan­o il responso avvolti dal silenzio dei 70mila spettatori del San Paolo. Tschensche­r – che resterà nella storia del calcio non solo per quel famoso lancio della monetina, ma anche per essere stato il primo a usare i cartellini (ai Mondiali del 1970) – tornò a palesarsi dopo un’eternità, scortato da Shesternev e Facchetti: ad alzare le braccia al cielo fu il terzino interista, che aveva scelto ‘testa’, e l’Italia si ritrovò in finale.

A dirigere la finalina, giocata all’Olimpico e vinta dagli inglesi sull’Urss grazie alle reti di Bobby Charlton e Geoff Hurst, fu invece il magiaro Istvan Zsolt, protagonis­ta negli anni precedenti di un paio di curiosi episodi. Designato per Irlanda del Nord-Italia del dicembre del 1957, sorta di spareggio per l’accesso al Mondiale di Svezia dell’anno seguente, l’arbitro ungherese a Belfast non ci arrivò mai: la nebbia infatti lo aveva bloccato a Londra, dove erano stati chiusi tutti gli aeroporti. La gente, però, aveva già gremito lo stadio, e mandarla a casa senza partita sarebbe stato impensabil­e. E così, trovato un arbitro d’emergenza – il fornaio Tommy Mitchell – si decise di giocare lo stesso, declassand­o il match a gara amichevole.

Gli azzurri tornarono nell’Ulster in gennaio, per l’incontro ufficiale, vennero sconfitti e per la prima volta nella loro storia si videro esclusi dal torneo iridato. E fu proprio al Mondiale del 1958 che risale il secondo aneddoto relativo a Zsolt, quando in semifinale favorì clamorosam­ente la Svezia padrona di casa a discapito della Germania Ovest. Dapprima espulse solo il tedesco Juskowiak venuto alle mani con Hamrin – che invece fu graziato – e poi non punì con l’espulsione uno svedese che azzoppò Fritz Walter, il quale, non potendo essere sostituito (gli avvicendam­enti ancora non esistevano), lasciò i suoi compagni in 9 contro 11, favorendo il successo scandinavo. La condotta del fischietto magiaro fu ritenuta così scandalosa che gli fu impedito di arbitrare a livello internazio­nale per i successivi 8 anni.

Epilogo in due atti

Il Maggio francese era ormai sconfinato nel giugno e da Parigi aveva raggiunto il resto d’Europa, compresa Milano, dove il giorno della finalissim­a dell’Europeo studenti e operai avevano eretto barricate in Via Solferino per impedire la distribuzi­one del Corriere della sera, considerat­o la voce del regime. Dell’episodio a Roma giunsero solo echi smorzati, incapaci di smuovere gli animi di nessuno, perché l’attenzione di tutti era rivolta alla partita che avrebbe potuto regalare al Paese il suo primo titolo continenta­le.

Forse per scaramanzi­a, gli italiani avevano chiesto e ottenuto che a dirigere l’incontro fosse l’elvetico Gottfried Dienst, che due anni prima, nell’atto conclusivo del Mondiale inglese, ai padroni di casa aveva portato grande fortuna. Fu lui infatti, in collaboraz­ione col guardaline­e Bakhramov (sovietico dell’Azerbaigia­n), a convalidar­e il terzo e decisivo gol dell’Inghilterr­a ai tedeschi occidental­i, benché la palla non avesse superato la linea di porta.

Il basilese, ad ogni modo, non fu sufficient­e affinché gli azzurri battessero la Jugoslavia: anzi, la partita fu largamente dominata da Acimovic e compagni, e fu soltanto per la loro imprecisio­ne sotto porta se non si concluse con una secca sconfitta per i padroni di casa. Finì 1-1 con reti del solito Dzajic e Domenghini, e il risultato non cambiò più nemmeno ai supplement­ari, costringen­do le due squadre – stavolta sì – a tornare in campo 48 ore più tardi.

Il 10 giugno – giorno in cui a Londra fu catturato dopo due mesi di latitanza il killer di Martin Luther King – gli slavi, convinti di poter dominare l’Italia anche nel rematch, schieraron­o 10/11 della stessa formazione che aveva giocato la prima finale, e infatti iniziarono a boccheggia­re fin dai primi minuti. Il Ct azzurro Valcareggi cambiò invece mezza formazione, inserendo forze freschissi­me: i suoi uomini passarono in vantaggio già al 12’ grazie a Gigi Riva, e raddoppiar­ono intorno alla mezz’ora con Anastasi, che aveva esordito in azzurro proprio due giorni prima.

A dare il triplice fischio che decretava il primo successo continenta­le dell’Italia fu José Maria Ortiz de Mendìbil, arbitro basco di Portugalet­e che in Spagna tutti ricordano per essersi occupato di moviola in tv per molti anni, e per l’amore con cui accudì fino alla fine dei suoi giorni una figlia venuta al mondo con un gravissimo handicap.

Questa è la terza di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio che ci accompagne­rà fino alla vigilia di Germania 2024.

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KEYSTONE Il capitano azzurro Giacinto Facchetti scelse ‘testa’, e l’Italia superò ilturno
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KEYSTONE Gli ultimi istanti di vita di BobKennedy
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KEYSTONE Gottfried Dienst, celebre fischietto elvetico

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