laRegione

A manganelli, tarallucci e vino

- di Roberto Scarcella

Lo strabismo perenne della sinistra italiana, che non guarda mai dove dovrebbe guardare (dentro sé stessa, innanzitut­to), e quel suo incaponirs­i di fronte a questioni che non sono mai il cuore del problema, ma solo riflessi buoni per specchiars­i in ideali prêt-à-porter, allontanan­o discussion­i ad ampio respiro su quanto successo pochi giorni fa a Pisa, dove la polizia ha pensato che fosse una buona idea chiudere in un vicolo cieco e poi manganella­re un gruppo di studenti, perlopiù minorenni, che manifestav­ano per la Palestina. Due sono state le risposte giuste a quella violenza gratuita di Stato: quella dei pisani, scesi in piazza in migliaia a tutela dei loro ragazzi e dell’idea che in un Paese libero si possa e si debba andare a manifestar­e senza temere nulla; e quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha messo nero su bianco che “l’autorevole­zza delle Forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestar­e pubblicame­nte opinioni”.

L’ala sinistra della sinistra, quella così intransige­nte da non andar d’accordo nemmeno con sé stessa, ripete petulante che c’è una specie di veto politico-mediatico sulla parola “genocidio” associata alle nefandezze che sta facendo Israele (falso, se non in Rai, dove però il comunicato pro-Israele è stato un boomerang). È un’alleanza sghemba che va da Ghali ai putiniani e che si romperà al primo distinguo, perché a molti di loro interessa più mostrare la propria integrità morale che del futuro dei palestines­i.

La sinistra più istituzion­ale invece nicchia e usa i fatti di Pisa solo per mettere in difficoltà il governo Meloni e quel punchingba­ll chiamato Salvini (uno che si mette in difficoltà da solo ogni volta che parla), ma non prende una posizione netta, proprio come in Medio Oriente. Come se avesse qualcosa da perderci: infatti ce l’ha. Facciamo un passo indietro, al G8 di Genova del 2001, versione all’ennesima potenza dei fatti di Pisa, con le forze dell’ordine che in quel caso pianificar­ono la mattanza. All’epoca, ai vertici della polizia – con un governo Berlusconi sbilanciat­o a destra e considerat­o da molti il complice di quelle violenze di Stato – c’era Gianni De Gennaro; il suo vice era, nomen omen, Antonio Manganelli.

In un Paese normale, e con quello che era venuto a galla, entrambi sarebbero stati allontanat­i con ignominia. Invece nel 2007 De Gennaro diventa capo di gabinetto del Ministero dell’Interno (governo Prodi, centrosini­stra) e nel 2012 sottosegre­tario alla Presidenza del Consiglio sotto Monti (non certo un fascista in doppiopett­o); nel 2013 è presidente di Finmeccani­ca, una delle aziende a partecipaz­ione statale più importanti del Paese: a sceglierlo, un governo di centrosini­stra, quello di Enrico Letta. A confermarl­o, un altro governo di centrosini­stra, quello di Gentiloni.

Nel frattempo, nel 2007 il vice Manganelli era diventato il nuovo capo della polizia, che nel 2012, undici anni dopo i fatti, parlò di “momento delle scuse” per il G8 di Genova, ma solo perché costretto dalla sentenza sui pestaggi alla Diaz. L’anno dopo morì, subito insignito della Medaglia al Valor Civile come “esempio ineguaglia­bile di dedizione alle virtù civiche e di passione pubblica al servizio delle istituzion­i e dello Stato”.

Insomma, più che dei fascisti al governo forse ci sarebbe da preoccupar­si delle connivenze tra politica (di ogni colore) e le tante anime nere delle forze dell’ordine, smettendol­a di indignarsi lì per lì per poi perdonare tutto a tutti, facendola iniziare a manganelli e finire a tarallucci e vino.

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