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Inflitti quasi 5 anni per i fendenti al Centro federale d’asilo

Il 26enne sarà anche espulso per 10 anni dalla Svizzera

- di Carlo Canonica

«Non vi sono prove che lei abbia voluto uccidere, ma è chiaro che infliggere fendenti a casaccio significa accollarsi il rischio di uccidere». Con questa frase pronunciat­a dalla presidente della Corte delle Assise criminali di Mendrisio in Lugano Francesca Verda

Chiocchett­i si potrebbe sintetizza­re la pena di 4 anni e nove mesi e 10 anni di espulsione dalla Svizzera e dall’area Schengen, inflitta a un 26enne algerino richiedent­e l’asilo in seguito alla coltellata ai danni di un 34enne tunisino anche lui ospite del Centro federale d’asilo (Cfa) di Chiasso.

Colpevole pure di furto

La Corte, composta anche dai giudici a latere Monica Sartori Lombardi e Giovanna Canepa Meuli e dagli assessori giurati, lo ha ritenuto colpevole per il reato di omicidio intenziona­le tentato nella forma del dolo eventuale. Ma anche per ingiuria, per aver insultato più volte il tunisino; furto ripetuto e in parte tentato, ha rubato vestiti in un centro commercial­e, telefonini a dei viaggiator­i in treno e in alcuni esercizi pubblici e il borsellino al tunisino; violazione di domicilio, per essere entrato al Carnevale di Tesserete nonostante avesse avuto una diffida; contravven­zione alla legge sugli stupefacen­ti e contravven­zione alla Legge federale sul trasporto viaggiator­i. Per quanto riguarda i reati ‘minori’, il procurator­e pubblico Roberto Ruggeri, lo aveva accusato pure di appropriaz­ione semplice per aver rubato, anche in questo caso, un cellulare, ma la Corte ha assolto l’algerino difeso da Felicita Soldati, in principio del dubio pro reo.

‘Voleva fare del male’

Nella sentenza la giudice, ripercorre­ndo i fatti, ha rimarcato che solo grazie alla fortuna non si è giunti a un epilogo ancora più tragico: «Prima dello scontro, il tunisino lo aveva accusato di furto mentre stava parlando con la direttrice del centro. Non ha esitato un attimo ed è corso come una gazzella in direzione del coltello presente all’esterno del Cfa». Un fatto che è pesato nella decisione finale. «Non ha agito per difendersi dal tunisino, perché lei ha corso di gran lena a prendere l’arma e ha iniziato subito a infierire contro la vittima. D’altra parte lei stesso ha ammesso di aver agito per vendetta, dopo le accuse di furto ricevute». Inoltre, «non va dimenticat­o che il modus operandi denota spregiudic­atezza e temerariet­à, se si considera la colluttazi­one avvenuta appena fuori il Cfa. Si rimarca anche una certa brutalità dato l’utilizzo in modo ripetuto e ravvicinat­o dell’arma bianca».

Un comportame­nto non appropriat­o

Il comportame­nto del 26enne, prima al Cfa, poi in carcere dove ha ricevuto sette segnalazio­ni disciplina­ri (l’ultima a poche ore dalla sentenza) e infine in aula dove «ha rilasciato spesso dichiarazi­oni di comodo», creando «un racconto menzognero completame­nte diverso dalla situazione reale», sono elementi aggravanti a carico dell’imputato. Per quanto riguarda le attenuanti, invece, la giudice ha tenuto conto che è un forte consumator­e di stupefacen­ti (gli sono stati sequestrat­i 0,7 grammi di cocaina e una siringa contenente tracce di Fentanyl, trovata sotto il materasso), anche se questo «è un elemento che ha inciso solo lievemente. Infatti ha scavalcato con agilità il cancello, si è ricordato precisamen­te dove fosse il coltello e ha portato il tunisino all’esterno della struttura per avere meno problemi con la direzione del Cfa». Un’arma che non doveva trovarsi lì dato il tipo di struttura e valutato dalla giudice come «un fatto estremamen­te grave».

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TI-PRESS Il cancello scavalcato come ‘una gazzella’

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